Magistratura democratica: “Con le udienze telematiche a rischio le garanzie processuali, si torni presto alla normalità”

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Rischi per le garanzie processuali sia nel settore civile che in quello penale: è quanto denuncia Magistratura Democratica in una lunga nota nella quale si evidenziano i rischi per il processo telematico attuato per l’mergenza coronavirus. Un ‘periodo eccezionale, speriamo irripetibile’ scrivono i magistrati evidenziando nel corso della nota le pecche del sistema attuato per i procedimenti urgenti, dalle udienze civili, a quelle penali. “Lo stato di emergenza per ragioni di sanità, seguito alla pandemia da Covid-19, si è abbattuto anche sul sistema giustizia, sospendendo tutta l’attività giudiziaria – scrivono i magistrati -, con limitate eccezioni connesse allo stato di restrizione della libertà personale, nel processo penale, e alla vulnerabilità del destinatario della tutela, nel processo civile. Le uniche attività non sospese vengono peraltro svolte, sia nel civile che nel penale, mediante l’utilizzo di strumenti telematici che consentono la trattazione da remoto; strumenti senza dubbio utili per la fase dell’emergenza, disciplinati dalle linee guida del Csm, da numerosi protocolli nei singoli distretti e ora al vaglio del legislatore. Siamo consapevoli di come il procedimento “da remoto” abbia consentito di contemperare la tutela del diritto alla salute di tutti e l’interesse a “non mandare in quarantena” la giustizia, in settori che sono fondamentali per la convivenza civile: la democrazia non può infatti tollerare la “sospensione” della giurisdizione, strumento e luogo di tutela dei diritti e di garanzia delle libertà. L’impiego delle tecnologie telematiche per quanto riguarda la formazione e comunicazione, anche nel penale, di atti e documenti – a condizioni di reciprocità con l’avvocatura – è certamente un dato positivo e, sotto questo profilo, ci auguriamo che l’esperienza di questi mesi possa dare una accelerazione all’evoluzione positiva del sistema”. I magistrati auspicano che una volta cessate le esigenze di emergenza sanitaria si ritorni alla normalità: “Tuttavia, riteniamo necessario ribadire che una volta cessata la situazione di emergenza – e mettendo in conto come anche per la giustizia, al pari di altri settori della vita del paese, si tratterà di un processo graduale – occorrerà tornare alla “normalità” e, con essa, alla pienezza di tutte quelle regole processuali che non sono neutre, essendo state previste dal legislatore in funzione dell’effettività del diritto di difesa e del ruolo di garanzia della giurisdizione. Da questo punto di vista, l’udienza da remoto e la trattazione scritta nel processo civile rischiano di vanificare i positivi risultati della trattazione effettiva dei processi in udienza, a partire da un tasso di definizione conciliativa molto elevato. Il pericolo, allora, è quello di un ritorno a udienze come inutili dispensatrici di termini e a un giudice civile quale mero estensore di sentenze, al termine di un dialogo processuale ripetitivo. Le stesse considerazioni valgono, poi, anche per il processo penale. L’udienza di convalida dell’arresto e del fermo “a distanza” deroga, infatti, alla regola processuale che richiede la presenza della persona arrestata o fermata dinanzi al “suo” giudice. Una regola che risponde ad evidenti ragioni di tutela della persona privata della libertà personale. Nel momento in cui si deve valutare la legittimità dell’operato della PG è necessario che l’arrestato sia a contatto fisico con il giudice chiamato a decidere – scrivono – in una posizione anche soggettiva di non condizionamento, che gli consenta un esercizio pieno del diritto di difesa; una posizione, questa, oggettivamente non garantita dalla condizione di stretto contatto con chi ha effettuato l’arresto o il fermo”. Per quanto riguarda i processi a distanza, Magistratura democratica espone una posizione netta: “Nel nostro ordinamento, le ipotesi di processo a distanza sono disciplinate come eccezioni, in ragione sia del diverso valore assunto dalle dichiarazioni rese da testi e imputati in un esame a distanza, sia del valore del contatto continuo con il difensore. La presenza fisica, dunque, è garanzia non solo del diritto di difesa, ma anche del risultato epistemologico dell’acquisizione probatoria. Analoghe perplessità fanno sorgere tutte le ipotesi che decontestualizzano la decisione, ipotizzando camere di consiglio delocalizzate, con gravi dubbi su riservatezza, ponderazione e valore delle decisioni assunte in tali modi. Crediamo, infatti, che al modello di giudice che auspichiamo appartenga la consapevolezza che la fatica, anche fisica, del contatto con le parti del processo, e in primo luogo con l’imputato, sia necessaria; e che le decisioni giudiziarie riguardino le persone e la loro esistenza, e che non si manifestino in un “altrove” lontano e delocalizzato. Per questo, vogliamo sottolineare che i cambiamenti introdotti, necessari per affrontare la crisi senza paralizzare la giustizia, presentano rischi che non si possono sottovalutare, e che quelli evidenziati non sono accettabili in tempi di normalità. Occorre, quindi, rifuggire dalla tentazione di credere che tutte le facilitazioni permesse dalla crisi possano costituire un buon lascito per il futuro. Questo pensiero, infatti, potrebbe divenire il pretesto perché, terminata la fase critica, si introducano o stabilizzino deroghe a quelle norme che la nostra legislazione ha introdotto per tutelare e garantire al massimo i diritti e le libertà”.




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