Racket al mercato dei fiori di Pompei: l’emissario dei boss Di Martino e Bisogni: “Ca cumannammo nuie”

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Pompei. “Te va cercann Giggino… se chesta robba è tua, devi fargli un regalo…ca cumannammo nuie”. Le minacce erano continue e chiunque si rifiutava di pagare il pizzo veniva messo in riga dagli uomini del clan Cesarano. Il boss Luigi Di Martino inviava il suo emissario a fare le ‘ambasciate’ per imporre ad ogni imprenditore 2000 euro al mese da pagare per ‘lavorare in tranquillità’. Il 27 novembre 2015 ad A.I., uno degli operatori floricoli del Mercato dei fiori di Pompei, viene chiesto di pagare e le minacce non sono affatto implicite. Stamane i carabinieri e la guardia di finanza hanno eseguito un’ordinanza di custodia cautelare di oltre 150 pagine firmata dal gip di Napoli, Emilia Di Palma, che chiude un’inchiesta durata circa tre anni e che ha portato all’arresto in carcere di 7 persone, a 4 indagati sono stati concessi i domiciliari, e altri 5 indagati restano a piede libero. Di Martino, insieme a Giovanni Cesarano, appena scarcerato nel 2015 aveva rimesso in piedi il racket sui fiori, stringendo anche una alleanza operativa con il gruppo camorristico salernitano dei Pecoraro-Renna, insieme al quale, attraverso il reggente Enrico Bisogni, aveva messo in piedi una società, la Engy service srl, nata il 29 luglio di quattro anni fa per la logistica del trasporto fiori. La società aveva il monopolio nel Mercato dei Fiori, ed era diventata uno strumento per rastrellare altre tangenti ai commercianti che vi operavano. Un trasportatore lo dice con chiarezza ai pm in un verbale del 22 novembre 2017: “da fine 2015 lavoravo autonomamente per i trasporti degli operatori del Mercato e facevo almeno un viaggio a settimana per loro. A fine 2016 sono stato estromesso perché non ho voluto lavorare con Engy service, non volendo accondiscendere alle imposizioni dettate da loro. Non ho più effettuato trasporti con un ingente danno economico dopo aver lavorato lì per 20 anni”. La società era ovviamente intestata a un prestanome, A.M., ma di fatto diretta da Di Martino e Bisogni. Il ‘pizzo’ ai florovivaisti veniva riscosso dagli emissari del clan ogni 10 del mese, e andava dai 1.500 ai 2mila euro, a secondo del volume di affari, ma ad A.G., titolare di una cooperativa, per esempio, la richiesta era di 20 euro per ogni singolo spazio di merce trasportato, equivalente a due carrelli di fiori; quando l’uomo si rifiuta di pagare, arriva il pestaggio, calci al volto e all’addome che gli procurano tra l’altro una frattura alle costole e una prognosi di 25 giorni per la guarigione. Nel corso delle indagini, gli imprenditori – per paura – hanno collaborato poco con gli inquirenti. Nel 2016, ad esempio, le forze dell’ordine fermano all’uscita di un’azienda Aniello Falanga, pure destinatario della misura cautelare e già detenuto, e la perquisizione a suo carico permette di sequestrare 1.550 euro e una lista di nomi; l’uomo si difende dicendo che i soldi sono per acquisti per il suo bar, inutilmente. Il titolare della ditta dalla quale andava via Falanga viene sentito dagli investigatori, ma non dice nulla e solo la moglie rivela che ogni mese pagava la cosca, ma nessuno dei due formalizza una denuncia.




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