Gaeta, 13 Febbraio 1861: la fine di un Regno scandita da un grido collettivo. Evviv’ ‘o Rré!

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E’ di questi giorni la notizia riguardante la rimozione del busto del Generale piemontese Enrico Cialdini dalla storica “Sala delle grida” della Camera di Commercio di Napoli a Piazza Bovio, più nota tra le gente napoletana come Piazza Borsa. La Piazza prendeva appunto il nome dal Palazzo della Borsa di Napoli, che era tra le Borse più vivaci d’Europa ancora in pieno Ottocento. Per la ricollocazione del Busto in altro sito si esprimerà la Soprintendenza competente, mentre il Comune di Napoli ha già revocato circa un anno fa la Cittadinanza Onoraria concessa al generale massacratore di meridionali durante la repressione sabauda delle insorgenze nel Sud. Il generale fu anche il vincitore predestinato a Gaeta, bombardata giorno e notte dai suoi cannoni rigati a lunga gittata.
E a Gaeta il 13 Febbraio del 1861 la Storia subì una improvvisa accelerazione, dopo le convulsioni della avanzata di Garibaldi dalla Sicilia a Teano. Ma il palcoscenico della Storia fu riservato sopratutto, se non esclusivamente, all’esercito Sabaudo. Un esercito che aveva bisogno di una grande vittoria che legittimasse la nuova Dinastia regnante sull’Italia unita con la forza delle armi. Essa era stata prescelta in base a precise strategie eterodirette – note o anche ignote agli stessi protagonisti – per la divisione delle aree di influenza politiche nel Mediterraneo e in Italia, anche in vista dell’apertura del canale di Suez, che avrebbe ridato a Napoli un ruolo centrale. L’Esercito napoletano rinchiuso nella cittadella fortificata di Gaeta ormai da settimane resisteva strenuamente, ma sempre più allo stremo.
Intanto, la Corte di Re Francesco II di Borbone delle Due Sicilie rimaneva asserragliata con l’esercito nella fortezza con tutta la cavalleria, la quale contava su appena un migliaio tra cavalli da guerra. La vittoria si prefigurava ormai certa per l’esercito Sabaudo.
Era solo una questione di tempo. Per accelerare la disgregazione delle difese degli assediati il comando dell’assedio era stato affidato al Generale CIALDINI, proveniente dai territori già conquistati da Giuseppe Garibaldi, intanto divenuto un mito vivente, tanto da risultare scomodo alla Corte savoiarda. E Cialdini, dopo avere avviato l’assedio, procedette a proprio modo con incessanti bombardamenti con cannoni rigati di lunga gittata, al di fuori della portata dei vecchi cannoni napoletani.
Durante l’assedio il comando savoiardo fu contattato da alti ufficiali napoletani, i quali chiesero che si desse asilo almeno alla cavalleria napoletana che, chiusa nella roccaforte, pativa fortemente per la scarsità di foraggio e d’ acqua. Ma il Comandante in capo Cialdini non aderì alla richiesta. Così i cavalli – in buona parte di razza Persano, già vanto dei cavalieri napoletani detti Diavoli Bianchi , apprezzati anche da Napoleone Bonaparte – affamati e malridotti cominciarono a morire a decine nella cittadella ormai ridotta a cumuli informi di macerie polverose e fumanti.
Finito l’assedio dei cento giorni con la resa degli assediati, tra i superstiti usciti sconfitti dalla fortezza ci fu chi raccontò di avere visto alcuni cavalli rodere disperatamente infissi e porte di legno alla vana ricerca di qualcosa di commestibile.Al rassegnato Re Francesco II e alla sua coraggiosa consorte Regina Maria Sofia di Baviera fu concesso di uscire dalla fortezza e salpare su una nave da guerra francese per recarsi in esilio a Roma, ospiti del Papa Pio IX. Mentre la nave salpava, da terra si udì per l’ultima volta il grido di saluto dei soldati borbonici: “Evviv’ ‘o Rré!”. Poco dopo la bandiera tricolore sventolava sui bastioni di Gaeta conquistata. Si consumò così la cancellazione traumatica del più antico e vasto Regno d’Europa, fondato nel giorno di Natale dell’anno 1130 dai Normanni. Ma nel territorio del Meridione d’Italia, dopo la resa di Gaeta si era intanto sviluppato un diffuso e disordinato fenomeno di ribellione e “insorgenze” di paesi, cittadine e intere aree rurali.
La protesta si diffuse in tutto in tutto il Sud e fu bollata dai nuovi regnanti con il termine di “Brigantaggio”. Le insorgenze dei rivoltosi furono quindi soffocate in circa un decennio di feroce repressione attuata con centoventimila soldati.
Vere e proprie truppe di occupazione agli ordini del generale Cialdini, che fu il maggiore responsabile di spoliazioni indiscriminate, molto spesso ingiuste, nonché di innumerevoli lutti. La nuova Italia vide dunque la luce In una sanguinosa ed estesa saga fratricida, che nulla ebbe di epico.

Federico L.I. Federico


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