‘Devi marcire in carcere, assassino’, accuse all’imputato dai familiari delle 40 vittime del bus nella scarpata

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Udienza movimentata al processo in corso ad Avellino per la tragedia del bus precipitato il 28 luglio del 2013 dal viadotto Acqualonga dell’A16 Napoli-Canosa che costo’ la vita a 40 persone. A fine udienza, i familiari delle vittime hanno inveito contro Gennaro Lametta, titolare dell’agenzia di viaggio e proprietario del bus alla cui guida c’era il fratello Ciro, deceduto nell’incidente, che aveva appena concluso la sua deposizione davanti al giudice monocratico Luigi Buono. “Devi marcire in carcere, assassino”, gli hanno gridato mentre Lametta si allontanava accompagnato dal suo avvocato, Sergio Pisani. Ai cronisti, il titolare della Mondo Travel che aveva proposto la gita di alcuni giorni a Pietrelcina e Telese Terme ha detto di considerarsi “la 41esima vittima di quella tragedia e oggi la mia vita non ha piu’ alcuna motivazione”. Nella sua deposizione, Gennaro Lametta ha sostenuto con forza che il bus “non era una carretta”. “Era efficiente e costantemente interessato da interventi di manutenzione. Non avrei mai fatto partire mio fratello e 40 amici – ha sostenuto – se cosi’ non fosse stato”. Sulla revisione dell’automezzo, che secondo l’accusa sarebbe stata soltanto virtualmente effettuata, Lametta ha chiamato in causa l’officina di Volla  presso cui sarebbe stata effettuata: “Di questi aspetti – ha sottolineato – se ne occupava mio fratello Ciro e conoscendo la sua scrupolosita’ mi sentivo garantito e tranquillo”. Sul banco dei testimoni, e’ salito anche Vittorio Saulino, il funzionario della Motorizzazione Civile di Napoli che, insieme ad un’altra dipendente dello stesso ente, avrebbe certificato la revisione, mai avvenuta, del bus prodotta il giorno dopo l’incidente. “Quel giorno non ero in ufficio – ha sostenuto Saulino – e so per certo che il mio codice identificativo che consente di entrare nel Centro elaborazione dati, e’ stato violato. La firma sulla revisione non e’ mia: e’ un palese falso. Soltanto un pazzo – ha aggiunto – poteva pensare di non essere scoperto. In 36 anni di servizio – ha poi concluso – non ho mai commesso illeciti: quel bus non l’ho mai visto e non figura tra gli automezzi che quel giorno dovevano essere sottoposti a revisione”. Nel processo compaiono 15 imputati, tra essi anche l’ad di Autostrade, Giovanni Castellucci, e il dg Giovanni Mollo, che devono rispondere a vario titolo di omicidio colposo plurimo, disastro colposo e falso in atto pubblico. La prossima udienza e’ fissata per venerdi’ 13 aprile.



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