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Cane Wifi in Russia: randagi diventano hotspot viventi per restare sempre online

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Era una mattina gelida a Ekaterinburg quando Sofia, studentessa di informatica, ha notato qualcosa di insolito durante la sua solita passeggiata verso la facoltà. Un gruppo di cani dai mantelli arruffati correva tra le auto parcheggiate, ognuno con una sorta di piccolo zainetto arancione sulla schiena.

È davvero una cattiva idea pensare a un ruolo sociale per chi oggi consideriamo solo un problema?

Non erano solo cani randagi qualunque: erano diventati “Cani Wifi”, hotspot Wi-Fi ambulanti pronti a trasmettere connessione nelle zone colpite dai blackout digitali russi.

Questa idea — che sembra uscita da un romanzo di fantascienza — è parte del progetto Lai-Fi: un’iniziativa di arte, tecnologia e attivismo che trasforma cani di strada in punti di accesso mobile per la connessione Internet. Sostituisce l’idea di antenne fisse con animali vivi, capaci di muoversi fra le strade e connettere le persone in un Paese dove la connessione è sempre meno scontata.

Dal randagio a hotspot: una storia di contraddizioni

Il Cane Wifi non è una soluzione tecnologica convenzionale: sono un simbolo di ingegnosità in tempi di difficoltà. Mentre la Russia affronta frequenti interruzioni di Internet — in parte legate a blackout strategici e blocchi di servizi come WhatsApp o Instagram — l’idea di affidare un pezzo della infrastruttura digitale a cani per strada apre una riflessione profonda sul rapporto tra tecnologia, controllo e natura.

Per gli abitanti di Ekaterinburg, questi cani sono molto più di semplici hotspot Wi-Fi: sono compagni di strada e, a volte, sono stati adottati proprio grazie all’interazione avvenuta mentre la gente cercava signal tra un edificio e l’altro. Alcuni passanti raccontano che coccolare un cane mentre si scarica una mail urgente ha creato un legame più umano con la tecnologia — un contrasto netto con lo scenario di censura digitale imposto dalle autorità.

Un Paese al limite della connessione

La Russia non è estranea ai blackout internet. In molte regioni, la connessione mobile è stata limitata per diversi giorni per motivi di sicurezza nazionale, tra cui il tentativo di ostacolare l’uso delle reti da parte di droni nemici. Questo ha portato a interruzioni che lasciano milioni di utenti offline, mentre i servizi digitali restano sotto stretto controllo statale.

In questo contesto, i Cani Wifi emergono quasi come una metafora: viventi, indipendenti e capaci di portare un segnale dove l’infrastruttura tradizionale fallisce o è deliberatamente oscurata.

Tecnologia o sfruttamento?

L’iniziativa ha però suscitato dibattiti intensi. Per alcuni è un esempio creativo di resilienza urbana. Per altri solleva interrogativi etici su come vengano trattati gli animali in progetti tecnologici o artistici: fino a che punto possiamo “strumentalizzare” gli esseri viventi per esigenze digitali? E riflette una visione più ampia in cui lo Stato e alcune società trattano gli animali e persino organismi vegetali alla stregua di oggetti o dispositivi utili, invece di riconoscerne pienamente il valore intrinseco.

Questa dinamica non è isolata: nella stessa Russia si sperimentano altri utilizzi discutibili della tecnologia su animali, dal monitoraggio con chip all’uso di mucche come sensori di produzione, mostrando un approccio pragmatico — ma per molti moralmente controverso — all’integrazione tra biologia e tecnologia.

Il Cane Wifi non sceglie, ma collega

I cani non sanno di essere diventati infrastruttura. Camminano, si fermano, annusano, cercano cibo. Intanto, le persone attorno controllano le mail, inviano messaggi, leggono notizie. La connessione arriva e se ne va come il cane stesso, senza promesse, senza abbonamenti, senza password.

È tecnologia che respira, che si muove, che non resta ferma su un palo. E qui nasce il primo cortocircuito emotivo: un animale che normalmente viene visto come un problema — randagismo, degrado, pericolo — diventa improvvisamente utile, centrale, persino necessario.

Oggetti o esseri viventi?

C’è però una seconda lettura, più scomoda. La Russia, come altri Paesi, ha spesso una visione fortemente utilitaristica di animali e ambiente: ciò che serve è accettabile, ciò che non serve è sacrificabile. Animali e vegetali trattati come strumenti, come estensioni di un sistema, alla stregua di oggetti tecnologici. Ed è impossibile ignorarlo: il Cane Wifi è anche il simbolo di questa ambiguità. Innovazione brillante o sfruttamento mascherato?

Ma c’è una domanda che resta sospesa

Eppure, guardando questa storia da un’altra angolazione, nasce una riflessione che riguarda anche noi. In molti Paesi — Italia compresa — gli animali randagi sono considerati un problema da contenere, gestire, nascondere. Costano, disturbano, “non servono”.

E se invece avessero un ruolo? Se diventassero parte attiva della società, non per sfruttamento, ma per integrazione? Cura, tecnologia, adozioni, servizi, relazione. Il Cane Wifi, al di là delle polemiche, ci costringe a farci una domanda scomoda ma necessaria:

 Conclusione: connessione, controllo e umanità

La storia dei Cani Wifi in Russia è molto più di una curiosità tech: è uno specchio di come le società cercano di restare connesse in un mondo sempre più polarizzato tra libertà digitale e controllo statale. È la storia di cani randagi che, senza saperlo, diventano simboli di resilienza, strumento di connessione e, allo stesso tempo, soggetti di una discussione etica più ampia su come trattiamo gli animali quando li inseriamo nelle nostre reti — digitali e sociali.


Fonte REDAZIONE
Pubblicato da
Sebastiano Vangone