

Infografica del termine Uffa
Avete presente quel momento? Siete in coda da venti minuti, il computer si blocca un attimo prima di salvare, o semplicemente vi state annoiando a morte. In automatico, dalle labbra vi esce quel suono: "Uffa!".
È una delle parole più piccole e usate della lingua italiana, un vero e proprio jolly emotivo. Ma vi siete mai chiesti da dove arrivi? Non è un prestito dal latino, non è un termine aulico dimenticato. La sua origine, come spesso accade per le cose più umane, è molto più "fisica" e istintiva.
Partiamo dalle basi. In linguistica, "uffa" è classificata come un'interiezione onomatopeica.
Analizziamo questa definizione in perfetto stile Geopop:
In pratica, "uffa" (così come la sua versione più breve, "uff") non è altro che la trascrizione nero su bianco di un sospiro di fastidio, noia, impazienza o frustrazione. È il suono della nostra rassegnazione infastidita.
La sua prima attestazione scritta risale al 1891, ma è ovvio che il suono da cui deriva è antico quanto l'essere umano e la sua capacità di annoiarsi.
Attenzione a un comune equivoco linguistico. Spesso si sente dire "mangiare a uffa" o "entrare a uffa" come sinonimo di "a ufo", cioè gratis, a scrocco.
Si tratta di due storie completamente diverse!
L'espressione "a ufo" (e la sua variante popolare "a uffa") ha un'origine storica affascinante e tutt'altro che onomatopeica. Deriva con ogni probabilità dalla sigla A.U.F. (Ad Usum Fabricae), che nel Medioevo veniva apposta sui materiali destinati alla costruzione delle grandi cattedrali (come il Duomo di Milano o di Firenze). Questi materiali erano esenti da dazi e tasse.
Da lì, "ad usum fabricae" è diventato sinonimo di "gratis", "senza pagare". Quindi, l'interiezione "Uffa!" (noia) e l'espressione "a uffa" (gratis) sono solo omofone: si pronunciano in modo simile, ma hanno origini e significati che non c'entrano assolutamente nulla l'uno con l'altro.
Qui la faccenda si fa "geolinguistica". Se "uffa" è l'imitazione di un suono umano universale (lo sbuffo), dovremmo trovare qualcosa di simile anche in altre lingue, no?
La risposta è sì, ma con sfumature sorprendenti.
Insomma, mentre l'atto di sbuffare è universale, la sua "traduzione" in una parola cambia. L'italiano "uffa", con quella "a" finale, sembra quasi voler allungare il sospiro, caricandolo di tutta la platealità e l'insofferenza di cui siamo capaci.
La prossima volta che vi scapperà un "uffa", quindi, pensateci: non state solo parlando. State eseguendo un'onomatopea perfetta, un piccolo pezzo di teatro fonetico che esprime un'emozione universale con un suono tutto nostro.