Napoli, pizzo al clan per girare Gomorra: assolto il location manager

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“Il fatto non sussiste”: con questa formula la quarta sezione della Corte di Appello di Napoli – accogliendo la tesi degli avvocati difensori – ha assolto Gennaro Aquino, location manager della Cattleya all’epoca dei fatti contestati.

Sul suo capo pendeva l’accusa di favoreggiamento nell’ambito dell’indagine su una presunta estorsione ai danni della casa di produzione cinematografica mentre erano in corso le riprese della prima serie della fiction Gomorra.

L’estorsione riguardava l’utilizzo della villa della famiglia camorristica dei gallo del rione Penniniello di Torre Annunziata usata nella fiction come location della casa del boss Savastano.

Aquino venne condannato in primo grado a sei mesi di reclusione (pena sospesa), dal tribunale di Torre Annunziata, nel febbraio 2018. Gli inquirenti contestavano di aver negato, quando fu sentito dalla polizia giudiziaria, di aver subito minacce e di aver pagato una somma di danaro a titolo di estorsione alla famiglia Gallo.

Soddisfazione è stata espressa dall’avvocato Domenico Ciruzzi, legale del noto location manager, per il quale l’assoluzione sarebbe dovuta sopraggiungere già anni fa.

    “Sono molto contento e soddisfatto poiché la Corte di Appello ha fatto giustizia e ha restituito la dignità e l’onore a un uomo che, per quasi nove anni, ha sopportato accuse ingiuste ed infondate”, ha detto Ciruzzi.

    “Questa è l’ennesima riprova – ha voluto sottolineare il professionista – che il tanto criticato giudizio di Appello, che pure necessita di rinnovati slanci poiché talvolta degrada a mero adempimento burocratico e/o notarile, di cui ciclicamente si propone l’abolizione, va non soltanto mantenuto ma addirittura implementato poiché costituisce uno strumento necessario per evitare gravi errori giudiziari ed è, dunque, un baluardo della democrazia”.

    “Questo è uno di quei casi, – conclude Ciruzzi – non rarissimi ma purtroppo neanche così frequenti, in cui la giustizia processuale ha coinciso con la giustizia sostanziale e, quando ciò accade, non è soltanto il malcapitato imputato a giovarsene ma l’intera comunità”. 


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