A processo i medici del Cardarelli che hanno trasfuso coattivamente una Testimone di Geova

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Il prossimo 24 ottobre avrà luogo presso il tribunale di Napoli la prima udienza del processo che vede coinvolti due medici dell’Ospedale Cardarelli, imputati del reato di violenza privata per non aver rispettato la volontà di una paziente testimone di Geova che si rifiutava di essere sottoposta a una trasfusione di sangue in ossequio al suo credo religioso.

Le motivazioni che hanno convinto il Pubblico Ministero a rinviare a giudizio i due sanitari, trovano origine, oltre all’evidente “violenza privata”, dal fatto che l’episodio sia avvenuto il 14 marzo 2018, poco dopo l’entrata in vigore (31 gennaio 2018) della legge 22 dicembre 2017, n. 219, che afferma in modo inequivocabile il dovere da parte del medico (e di ogni altro professionista sanitario) di rispettare la volontà della persona, quando esprime il consenso o il rifiuto al trattamento (o all’accertamento) sanitario proposto.

Il caso. La paziente testimone di Geova, L. K., di origine filippina, si era presentata al Cardarelli per una ematuria insorta da tre settimane, aveva regolarmente consegnato la DAT (Direttive anticipate di trattamento) e aveva ribadito più volte anche verbalmente il suo rifiuto al trattamento trasfusionale “…anche – come sottolinea lo stesso rinvio a giudizio – qualora si fosse rappresentata una condizione di pericolo per la sua vita”.

Anche di fronte alla necessità di un intervento urgente di “raschiamento”, e al ripetuto invito dei sanitari a ricevere una trasfusione, la paziente confermava il suo no. Purtroppo, come sottolinea ancora il rinvio a giudizio “… profittando in qualche modo della barriera linguistica tra personale sanitario e paziente, in virtù di una non adeguata conoscenza della lingua italiana da parte di L. … la stessa L. (in evidente stato di incoscienza, perché sotto anestesia: n.d,r,) veniva costretta a subire la trasfusione di due sacche di emazie concentrate…”. Prescritte e imposte dai due medici finiti sotto processo.

Interessante sottolineare che la paziente – che si è risvegliata dall’anestesia scoprendo di essere stata trasfusa contro la sua volontà – non è mai stata in pericolo di vita e che gli stessi anestesisti, al contrario del primario, non erano d’accordo a procedere con la trasfusione.

    Il commento dell’esperto. Il professor Daniele Rodriguez, noto esperto medico legale e bioeticista sottolinea la necessità che il medico rispetti le volontà del paziente e mostri particolare attenzione alla sua identità come persona: “La novità della legge n. 219 / 2017 è di aver valorizzato la relazione di cura e di fiducia tra paziente e medico. Per il medico accettare il rifiuto è espressione di disponibilità verso il paziente e di capacità di condividere i suoi bisogni, le sue aspirazioni e i suoi valori.

    Per un Testimone di Geova tale trasfusione è un trattamento permanentemente lesivo della sua identità religiosa.

    La trasfusione che viene praticata nonostante il rifiuto della persona compromette svariate componenti della identità della persona stessa: religiosa, corporea, familiare, sociale. Per un Testimone di Geova tale trasfusione è un trattamento permanentemente lesivo della sua identità religiosa. Inoltre, l’attualità della manifestazione di volontà va concepita in senso logico e non meramente cronologico.

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    Pertanto, il rifiuto (o il consenso) manifestato al medico dalla persona globalmente informata e consapevole delle conseguenze delle proprie decisioni, continua a essere attuale e valido oltre il momento della sua espressione anche qualora sopravvenga uno stato di incoscienza. Dunque, l’obiettivo è quello di educare il medico alla relazione di cura, intesa come attenzione verso la persona e presa in carico dei suoi bisogni di salute”.



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