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Imprenditore suicida, legale dell’associazione vittime clan: ‘Temo altri gesti’



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“Il caso dell’imprenditore siciliano Rocco Greco, riabilitato dal Tar del Lazio dopo che la prefettura gli aveva negato la certificazione antimafia costringendolo al suicidio, e’ emblematico di come lo Stato abbia ormai rinunciato a tutelare le vittime innocenti della criminalita’ organizzata, piegando le leggi in favore delle vittime alla propria strategia, che e’ decisamente contro queste persone, che hanno gia’ sofferto per mani dei clan”.

Ancora una volta Gianni Zara, avvocato casertano che assiste una ventina di vittime innocenti della camorra cui lo Stato ha negato riconoscimenti e risarcimenti, nonche’ ex sindaco di un paese ad alta densita camorristica come Casapesenna, dove il boss dei Casalesi Michele Zagaria e’ nato, cresciuto e ha passato parte della latitanza (Zara ha anche denunciato il boss e un altro ex sindaco), si ritrova a commentare di una situazione in cui la vittima innocente di una cosca non viene riconosciuta come tale da un provvedimento del Ministero dell’Interno, che “con i suoi burocrati – spiega Zara – va oltre la legge non tenendo conto, cosa ancora piu’ grave, di una sentenza giudiziaria che dice che Greco non era vicino ad ambiente malavitosi; era insomma una persona onesta. Piu’ che uno Stato di Diritto, e’ uno Stato di Polizia”. Se ne contano a decine di casi come quello di Greco, in cui le prefetture in sede territoriale e il Ministero dell’Interno a livello centrale rigettano le domande di figli, fratelli e sorelle di vittime innocenti dei clan, “cercando cavilli legali”, come la norma che vieta ristori economici alle vittime non “estranee ad ambienti delinquenziali”, o che “hanno parenti fino al quarto grado vicini ai clan”.

Greco, che aveva denunciato gli estorsori di Cosa Nostra e della Stidda, era stato accusato da alcuni pentiti di avere legami con i clan, ma era stato poi assolto; nonostante la sentenza favorevole, la prefettura di Caltanissetta gli aveva negato la certificazione antimafia ritenendolo non estraneo ad ambienti delinquenziali, e cosi’ non aveva piu’ potuto lavorare con la sua azienda edile. I figli hanno presentato ricorso al Tar, vincendolo, “ma per Rocco Greco la decisione e’ arrivata troppo tardi” dice Zara con amarezza. “Il mio timore e’ che anche qualcuna delle persone che assisto possa fare gesti del genere, perche’ sono sfiduciati”. Tra i casi di cui si occupa Zara, tante vittime dei Casalesi, ma anche di clan napoletani, come il 29enne Salvatore Barbaro di Ercolano, ucciso per errore nel 2009 come riconosciuto in sentenza; la madre si e’ sempre vista rigettare dal Viminale la domanda di ristoro, per via di un parente di quinto grado legato alla camorra, ma pentito da venti anni, e un parente che in passato ha subito una condanna per spaccio. “In questo caso – spiega Zara – si nota come la burocrazia applichi la normativa in modo funzionale alla propria strategia che va contro la vittime, andando oltre la legge, che dice ben altro: nelle norme si parla di parentele entro il quarto grado condannati per reati mafiosi, e non si menzionano i reati di droga tra quelli ostativi. Si parla tanto di lotta alla mafia, si fanno tanti arresti, come e’ giusto, ma se non si sta accanto alle vittime, il sistema mafioso non verra’ mai sconfitto” conclude Zara


Articolo pubblicato il giorno 13 Luglio 2020 - 14:27


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