Ultrà del Napoli arrestato: le intercettazioni, i video e le testimonianze che ‘inchiodano’ Fabio Manduca

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Ci sono voluti quasi dieci mesi di indagini, passate per i tentativi di scalfire il muro di “omertà” eretto dai gruppi ultras, per intercettazioni telefoniche, un’analisi minuziosa fotogramma per fotogramma dei video e perizie, per arrivare ad individuare l’investitore di Daniele Belardinelli, il tifoso del Varese travolto e ucciso da un Suv all’inizio degli scontri tra interisti e napoletani del 26 dicembre 2018, a due chilometri da San Siro. In carcere è finito Fabio Manduca, ultrà del Napoli con legami con clan della camorra e con le frange estreme della curva, accusato di omicidio volontario. Quando Manduca, 39 anni e una sfilza di precedenti penali, alla guida di una Renault Kadjar con altri 4 a bordo, ha accelerato verso il gruppo di ultra’ interisti, che stavano assaltando la ‘carovana’ di macchine dei tifosi rivali in via Novara, prima di Inter-Napoli, era “consapevole”, scrive il gip di Milano Guido Salvini, che avrebbe potuto uccidere Belardinelli, ultrà dei ‘Blood and Honour’ gemellati coi nerazzurri. Per questo, nelle indagini dell’aggiunto Letizia Mannella e dei pm Rosaria Stagnaro e Michela Bordieri, è stato contestato l’omicidio volontario con “dolo eventuale”, ossia con l’accettazione del rischio dell’evento. Manduca, infatti, dopo aver sorpassato un’Audi A3, non avrebbe fatto alcunché per evitare gli interisti che avevano invaso la carreggiata con mazze, coltelli, bastoni, ma anzi si è diretto contro di loro, ha “puntato” e centrato Belardinelli, gli è passato sopra e non si è fermato. Salvo scendere con gli altri quattro (anche loro indagati per omicidio volontario) per verificare le condizioni della vettura. “Hanno preso il disgraziato che ha ammazzato mio figlio, non mi cambia la vita, ma spero di vederlo faccia a faccia”, ha scritto la madre della vittima 39enne su Facebook, mentre il padre spera che abbia “una punizione esemplare”. Intanto, qualche mese fa Manduca, sempre accorto nel parlare al telefono e che avrebbe anche fatto pressioni per condizionare la testimonianza di un passeggero dell’auto, si è lasciato andare ad una frase in dialetto napoletano che e’ diventata una delle prove a carico, assieme alle “ammaccature” della Kadjar, al lavoro fatto dalla Digos, guidata da Claudio Ciccimarra, nel ricostruire minuto per minuto la ‘guerriglia’ (finora anche 5 condanne per rissa e un patteggiamento), all’incrocio delle versioni nei verbali. “Qual omicidio, chill se vuttat iss annanz a machin, fra’ (quale omicidio, quello si e’ lanciato lui davanti alla macchina, fratello, ndr)”. Cosi’ diceva intercettato, il 6 aprile, ad un amico, una telefonata dalla quale, per il gip, “emerge con chiarezza che Manduca ha piena consapevolezza dell’investimento”. Lui che su Facebook ha messo immagini di Raffaele Cutolo e post intitolati ‘o’ sistema’, lui che col fratello ha un’impresa di pompe funebri coinvolta in un’inchiesta che ha portato al sequestro di società “riconducibili alla famiglia Cesarano, legata a sua volta ai clan camorristici dei Nuvoletta e dei Polverino di Marano”. Ed ha un “forte legame” con Giancarlo Franco, fratello di Vincenzo Franco, leader del gruppo ultra’ dei ‘Mastiffs’ “che riveste un ruolo nel ‘sistema’ di spaccio di droga di cui era a capo” Gennaro De Tommaso, meglio noto come ‘Genny a carogna’, “predecessore del Franco alla guida degli ultras e la cui famiglia e’ legata” al clan Giuliano di Forcella. Intanto, l’avvocato Dario Cuomo è pronto a ricorrere al Riesame sulle esigenze cautelari (“metterlo in galera un anno dopo i fatti non ha senso”) e chiede che resti a Poggioreale, perché nelle carcere milanesi “é a rischio”.

Fabio Manduca però avrebbe anche fatto pressioni su un altro tifoso che era in macchina con lui, affinché non fornisse elementi utili agli investigatori. Emerge dall’ordinanza firmata dal gip Guido Salvini. Particolarmente “grave e significativo”, secondo il gip, e’ “il comportamento mantenuto da Manduca” nei confronti di un ragazzo che era in auto. “E’ evidente che i contatti e gli appuntamenti fissati da Manduca – scrive il gip – per incontrare il testimone” prima della “sua audizione in Questura a Milano e la circostanza di recarsi alla stazione ferroviaria di Napoli con Franco Giancarlo”, fratello di un capo curva, “all’esito della stessa, erano finalizzati ad incidere sulla genuinità delle sue dichiarazioni”. Per il gip, poi, solo con altre testimonianze se arriveranno, si potrebbe approfondire “un dolo diretto”, ossia la eventuale “scelta volontaria di passare sopra il corpo steso a terra con esiti quasi inevitabilmente letali”. Marco Piovella, detto ‘il Rosso’, uno dei capi curva interisti già condannato per la rissa in via Novara, aveva spiegato a verbale: “Ho visto una vettura, che definirei una berlina di colore scuro, passare sopra con la ruota anteriore destra e quella posteriore destra a un ragazzo steso a terra e anche per un momento fermarsi prima di superare ‘l’ostacolo'”. Il “rallentamento a ridosso del corpo di Belardinelli”, scrive il gip, “seguito dalla scelta di accelerare sarebbe infatti certamente un elemento indicativo di un dolo diretto”. Per ora, però, è stato contestato il ‘dolo eventuale’ nell’omicidio volontario, anche perché di questo fatto ne ha parlato solo Piovella, mentre “nessuno degli altri tifosi interisti certamente presenti ha inteso fornire in alcun modo agli investigatori e agli inquirenti la descrizione di ciò cui aveva assistito”. Nell’ordinanza, con l’analisi delle immagini (anche un video di una residente in zona), viene fornita, minuto dopo minuto, la “ricostruzione della dinamica” dell’investimento che si concentra sulle uniche due auto, la Kadjar di Manduca e un’Audi, che non si fermarono quando gli ultrà interisti partirono all’assalto, con la prima che sorpasso’ l’altra, non appena gli interisti invasero la carreggiata e punto’ dritta su di loro e travolse Belardinelli. L’auto venne anche ripresa in una via vicina: 5 persone scesero a controllare le condizioni della vettura. “Il suv – ha raccontato un passeggero dell’Audi – dopo avermi sorpassato, ha proseguito la sua marcia a velocità sostenuta senza frenare e non ha fatto alcuna manovra per scansare corpi o mezzi”. Nell’ordinanza anche delle “piantine” per ricostruire l’accaduto e gli esiti di una perizia dalla quale sono emerse “numerose ammaccature” sulla parte inferiore della Kadjar, “pienamente compatibili” col passaggio “sopra un corpo”. L’esito delle perizie, conclude il gip, comunque “e’ stato inferiore rispetto agli esiti” previsti “a causa della disattenzione” con cui le auto sequestrate sono state tenute nelle “strutture che a Napoli le avevano in custodia”, lasciate “per settimane e settimane in un parcheggio a cielo aperto esposte alla pioggia e agli altri agenti atmosferici, nonché alla merce’ di chiunque”.

“Io non ho buttato nessuno per terra. ma chi se n’é accorto! Ma se pure l’ho buttato non ce ne siamo accorti”. Al telefono con la sorella, il 14 gennaio di un anno fa, Fabio Manduca parla dell’incidente in cui è morto Daniele Belardinelli, negli scontri scoppiati prima di Inter – Napoli. “Bravo, in mezzo a quella baraonda”, risponde la sorella e lui: “Con le mazze in mano. Mazze, bombe..ma come fai ad accorgertene?”. Dalle telefonate tra Manduca e la sorella, scrivono i pm nella richiesta di arresto poi convalidata dal gip, “emergono i primi riferimenti dell’indagato all’investimento di Belardinelli; di fronte alle domande della sorella, Manduca tenta di convincerla della sua totale estraneità alla vicenda e tenta di trasferire ogni responsabilità sullo stato di generale disordine causato dallo svolgimento della rissa”. E ancora: “Quale omicidio, quello si è lanciato lui davanti alla macchina, fratello”. Cosi’ Fabio Manduca si è rivolto a un amico in una telefonata del 6 aprile 2019, riportata nell’ordinanza di custodia cautelare firmata dal gip Guido Salvini. Da questa telefonata, si legge nel provvedimento, “emerge con chiarezza che Manduca ha piena consapevolezza dell’investimento di Belardinelli”. In una conversazione successiva, Manduca “per giustificare l’investimento, descrive la modalità secondo cui Belardinelli si sarebbe buttato sotto l’auto con la chiara intenzione di escludere la propria responsabilità”.




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