50 euro per una informazione, 3mila per aggiustare i documenti: così i poliziotti corrotti facevano entrare i ‘clandestini’ a Napoli

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Il provvedimento, emesso dal GIP del Tribunale di Napoli su richiesta della locale Direzione Distrettuale Antimafia titolare delle indagini, nei confronti delle sette persone tra cui anche ex poliziotti in servizio all’ufficio immigrazioni della Questura di Napoli, per aver favorito l’immigrazione clandestina in Italia, è stato eseguito contestualmente a numerose perquisizioni domiciliari che, oltre ai soggetti arrestati, hanno riguardato ulteriori 9 persone, coinvolte a vario titolo nelle attività illecite.
Le investigazioni, a cura della Sezione Investigativa Finanziamento al Terrorismo del G.I.C.O. di Napoli, sono iniziate nel giugno del 2016 a seguito di una segnalazione di operazione sospetta riguardante un soggetto di nazionalità algerina residente a Napoli, il quale risultava aver effettuato, per il tramite di alcune agenzie di money transfer del capoluogo campano, diverse movimentazioni di denaro “da” e “verso” Paesi dell’Unione Europea (tra cui Francia e Belgio), per importi al di sotto dei mille euro, ritenute potenzialmente riconducibili a contesti di terrorismo di matrice islamica.
Infatti, tra i soggetti interessati a tali rimesse di denaro figurava un suo connazionale residente in Belgio il quale, sulla base dei primi riscontri info-investigativi, avrebbe avuto stretti legami con il noto militante jihadista Abaaoud Abdelhamid, sospettato di essere uno degli organizzatori delle azioni terroristiche perpetrate a Parigi il 13 novembre 2015 e ucciso in un’operazione della polizia francese cinque giorni dopo. Nei confronti del cittadino algerino venivano, quindi, intraprese mirate indagini, anche di natura tecnica, coordinate dai magistrati del Pool Antiterrorismo della Procura di Napoli le quali, pur non facendo emergere positivi riscontri in ordine al suo coinvolgimento in attività di finanziamento del terrorismo, consentivano di accertare l’esistenza di un agguerrito network criminale specializzato nell’ottenere indebitamente il rilascio e/o il rinnovo di permessi di soggiorno a favore di cittadini extracomunitari, molto spesso privi dei necessari requisiti di legge, attraverso l’utilizzo di documenti illegalmente ottenuti.
In particolare, si è appurato che l’associazione gestiva e controllava l’intera filiera burocratica preordinata alla concessione dei relativi provvedimenti amministrativi, dal reperimento dei clienti/richiedenti, alla predisposizione delle istanze, ai contatti con l’Ufficio Immigrazione della Questura, fino alla consegna dei documenti ai soggetti richiedenti, cui seguiva la riscossione dei compensi dovuti e la successiva ripartizione dei guadagni illeciti da parte dei diversi membri del sodalizio.
L’organizzazione, infatti, forniva i suoi servizi illeciti sulla base di un vero e proprio “tariffario” in ragione del tipo di prestazione richiesta, con importi in danaro compresi fra i 50 euro per una semplice informazione sullo stato della pratica e i 3.000 euro circa necessari per “aggiustare” il conseguimento dei permessi di soggiorni. Nello stesso tempo, le indagini tecniche hanno disvelato il meccanismo utilizzato dal sodalizio per individuare la singola pratica e verificarne lo stato d’avanzamento e che era basato, fra l’altro, sullo scambio, via telefono, degli appositi codici alfanumerici, convenzionalmente assegnati a ciascun fascicolo dal software applicativo in uso all’Ufficio Immigrazione.


Proprio attraverso la “decifrazione” di tali codici, ottenuta anche grazie alla collaborazione fornita dalla Questura di Napoli, è stato possibile pervenire all’esatta identificazione di diversi soggetti beneficiari dei permessi di soggiorno nonché alla ricostruzione dei ruoli svolti dai principali protagonisti dell’attività illecita.
In tale ambito, fra i promotori e gli organizzatori del sodalizio criminale figurava Vincenzo Spinosa, un ex ispettore della Polizia di Stato già in servizio presso l’Ufficio Immigrazione, il quale sovrintendeva e coordinava l’intera filiera dei servizi offerti alla clientela. Questi, in particolare, fungeva da trait d’union tra un folto gruppo di intermediari esterni all’Ufficio Immigrazione, sia italiani (tra i quali un avvocato e un commercialista) che extracomunitari, grazie ai quali raccoglieva le diverse istanze di soggiorno dai richiedenti stranieri, e i pubblici ufficiali interni al medesimo Ufficio i quali, di volta in volta, davano indicazioni sugli adempimenti da svolgere e fornivano i suggerimenti necessari alla soluzione di specifiche problematiche.Ovviamente, una parte dei guadagni conseguiti dal sodalizio veniva destinata a rimunerare i pubblici ufficiali compiacenti per i servizi resi e le attività espletate nell’esercizio delle loro funzioni, con conseguente contestazione a carico degli indagati anche del reato di corruzione per l’esercizio della funzione previsto dall’articolo 318 del codice penale.
Anche se allo stato non è possibile stabilire esattamente il numero complessivo dei documenti effettivamente gestiti dall’organizzazione, nel corso delle indagini sono state quantificate 136 pratiche di rilascio/rinnovo del permesso di soggiorno indebitamente concesso, individuate grazie al codice completo alfanumerico elaborato dal portale internet dell’Ufficio Immigrazione.


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