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Caserta, le mani del clan Capone sulle elezioni regionali: 19 misure cautelari

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I Carabinieri della compagnia di Caserta hanno eseguito un’ordinanza di custodia cautelare nei confronti di 19 persone indagate a vario titolo per i reati di scambio elettorale politico mafioso, estorsione, detenzione e spaccio di sostanze stupefacenti, commessi con l’aggravante del metodo mafioso. Le indagini coordinate dalla Direzione distrettuale antimafia di Napoli si sono concentrate sull’intervento del clan camorristico Belforte sulla città di Caserta durante le consultazioni elettorali per il rinnovo del Consiglio regionale della Campania svolte il 31 maggio 2015 e in particolare sull’intervento di Agostino Capone e del clan da lui retto, imponendo ai candidati di avvalersi, per il servizio di affissione dei manifesti elettorali nella città di Caserta, di una società intestata alla moglie, e intervenendo per condizionare il voto e orientarlo in favore di candidati disposti a versare al clan somme di denaro, buoni pasto e buoni carburante. Le misure cautelari disposte dall’ordinanza emessa dal gip di Napoli sono di custodia cautelare in carcere, arresti domiciliari e divieto di dimora nelle province di Caserta e Napoli. Due le direttrici di intervento dei fratelli boss Giovanni e Agostino Capone nella tornata elettorale. Da una parte hanno imposto ai candidati di servirsi per il servizio di affissione di manifesti elettorali a Caserta di una societa’ intestata alla moglie di Agostino, Maria Grazia Semonella, la Clean service; dall’altro hanno procurato voti a candidati che in cambio erano disposti a versare denaro al clan, buoni pasto e buoni carburante. Solo il business dei manifesti ha fruttato 17000 euro, versati in parte nelle casse della cosca per mantenere le famiglie degli affiliati detenuti. Giovanni Capone, all’epoca detenuto, ha utilizzato ‘pizzini’ per dare disposizioni al fratello Agostino perche’ si occupasse dell’affissione dei manifesti elettorali nella citta’ di Caserta”

A confermare agli inquirenti lo scenario dell’infiltrazione della Camorra nei servizi di affissione manifesti un consigliere regionale in carica, Luigi Bosco, che ha raccontato come a Caserta vi erano state alcune anomalie, dato che per avere visibilita’ era necessario rivolgersi a un determinato gruppo di persone. Bosco mette nero su bianco che un suo collaboratore, durante l’affissione dei manifesti, era stato aggredito da persone che gli avevano intimato di allontanarsi perche’ nel capoluogo di Terra di lavoro nessuno poteva affiggere senza il loro consenso. Poi, nei locali del suo comitato elettorale, si era presentato Vincenzo Rea, che con Antimo Italiano, Antonio Merola e Antonio Zarrillo. collaborava con Capone per imporre candidati la Clean service, e gli aveva garantito che se la affissione di manifesti fosse stata affidata a loro, avrebbe avuto la giusta visibilita’; in caso contrario solo problemi. Lo scambio elettorale politico mafioso, nell’indagine, e’ comprovato per due candidati del Nuovo Centrodestra-Campania libera, Pasquale Corvino(all’epoca ex vice presidente della Casertana calcio) e Pasquale Carbone, entrambi ora ai domiciliari, che avrebbero chiesto a esponenti del clan Belforte di procurare voti in cambio di denaro e altre utilita’. Corvino ha chiesto l’appoggio elettorale a Caserta promettendo ad Agostino Capone e Rea 3000 euro ciascuno, buoni spesa e buoni carburante, nonche’ un regalo per il boss detenuto Giovanni.

Pasquale Carbone si era rivolto ad Antonio Merola attraverso un intermediario, affiliato ai Capone, per ottenere voti con il clan. Il patto era che per 100 voti nel comune di Caserta avrebbe dato 7000 euro. A fine elezioni, pero’, a Caserta aveva ottenuto 87 voti, e per questo ha chiesto una restituzione parziale della somma versata. Dalle intercettazioni emergono anche le minacce di Agostino Capone per assicurarsi voti (“devi vedere ti togliamo la macchina da sotto”) e come in cambio del voto l’elettore avrebbe ricevuto buoni spesa o carburante (“li vado a prendere li porto a votare fino a dentro, con il telefono in mano faccio la foto. Devo vedere sul telefono. Se no non hanno niente”). E’ proprio Agostino Capone, dicono le indagini, ad accompagnare sulla propria auto persone anziane al seggio, facendole entrare in cabina elettorale con la moglie per controllare il loro voto. Anzi, in una conversazione tra i due coniugi, Capone dice di aver controllato le schede prima di farle imbucare, di aver corretto anche il nome del candidato arrivando persino a minacciare il presidente del seggio (“non mi ha detto niente perche’ io lo sto menando a quello la’ dentro”). Capone poi era pienamente coinvolto nell’attivita’ di spaccio di sostanze stupefacenti a Caserta e voleva divenire l’unico fornitore per tutti gli spacciatori al dettaglio. Grazie all’intermediazione di Mario De Luca aveva ottenuto a credito una significativa partita di cocaina da gente dell’agro aversano. Poi, attraverso un personaggio legato alla criminalita’ del Parco Verde di Caivano, la grande piazza di spaccio nell’hinterland napoletano, aveva trattato un ingente partita di hashish. Aveva rifornito cosi’ gli spacciatori al dettaglio di Caserta, perche’ l’obiettivo era, in quanto referente della cosca in zona, di controllarne tutte le piazze di spaccio. Ma non essendo in grado di pagare le partite ricevute a credito, aveva spazientito i suoi fornitori al punto che l’avevano prelevato da casa sua per costringerlo a saldare il debito.

 Gustavo Gentile


Articolo pubblicato il giorno 5 Febbraio 2019 - 08:55

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