‘La Sposa Progioniera’ al Teatro Nest per il festival Quartireri di vita

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Lunedì 10 dicembre appuntamento al Teatro Nest – Napoli Est Teatro di San Giovanni a Teduccio per Quartieri di vita, il festival di formazione e teatro sociale diretto da Ruggero Cappuccio e realizzato con il sostegno della Regione Campania dalla Fondazione Campania dei Festival, presieduta da Alessandro Barbano. Alle ore 20.30 andrà in scena La Sposa Prigioniera, spettacolo nato nel contesto più ampio del progetto di formazione del Teatro Nest per il gruppo teatrale composto da ragazzi under 25 del territorio e della periferia #GiovaniO’Nest, formatosi nel 2016 grazie all’esperienza di Quartieri di vita.
La Sposa Prigioniera è frutto di un percorso specifico con l’autore e regista Gianni Spezzano: dopo tre mesi dedicati alla costruzione di un linguaggio comune a partire dalla biomeccanica di Mejerchol’d, sono seguite varie sessioni dedicate all’analisi del testo. L’ultima fase, iniziata a giugno 2018, è quella della messinscena del testo, con la partecipazione di tutti i ragazzi, che sul palco vestiranno i panni non solo di attori, ma anche di scenografi, disegnatori luci, costumisti, tecnici, in un cammino di formazione trasversale che include tutte le professioni del mondo del teatro. Il testo de La sposa prigioniera è il terzo capitolo della trilogia su Napoli, che segue i testi Bambolina (in scena all’E45 Napoli Fringe Festival 2015) e Donna di Cuori (Vincitore del premio internazionale POP DRAMA, a cura del Centro Diego Fabbri per Europa Creativa), un progetto editoriale ideato dal drammaturgo e regista Gianni Spezzano, che della storia che andrà in scena scrive: “La faccenda non è il luogo. La faccenda non sono i personaggi. La faccenda è una: esiste un sistema. Il sistema, in qualunque forma ti si presenta, in qualunque modo ti ci rapporti, in ultima analisi, ti ingabbia sempre”. La prima messa in scena ha l’obiettivo di dare massimo risalto al lavoro con il corpo degli attori. Il prologo al testo è stato ideato per dare il senso stesso del significato dello spettacolo, per offrire una riflessione riguardo il tema del lavoro sulla sposa prigioniera: il sistema. Cos’è questo ‘sistema’? Siamo tutti dentro ad un ‘sistema’? Oltre i confini della malavita, qual è il sistema che ci appartiene? In che modo ‘il sistema’ ci imprigiona?
L’idea di partenza è il Rave come processo di ribellione ad un tipo di sistema, un anti-sistema che però finisce per omologare e ingabbiare sotto un’altra forma. Il movimento dei Raver, che negli anni 60′ nasceva come contro-cultura, negli anni ’90 ha vissuto la sua decadenza, lasciandosi contaminare dall’arrivo delle droghe sintetiche, trasformandosi in quelli che l’opinione pubblica battezzò ‘centri commerciali delle droghe’, lasciandosi inglobare da quel mercato illegale che è l’altra faccia della medaglia di quello capitalista consumistico che tanto veniva messo in discussione.
“Sono un evaso dal sistema e questo è il mio manifesto”, con queste parole, prese in prestito dal famoso Manifesto di un Raver, una giovane raver chiude la sua arringa contro un pubblico che identifica come popolo di un sistema che rifiuta.
Incappucciato, cercando un anonimato che le consenta di liberarsi della propria identità plagiata, si scatena in una danza libera, impulsiva, triviale. Un gruppo di giovani, persi con gli sguardi nell’accecamento dei loro smartphone, sentono il richiamo di quella rivolta liberatrice che come un’onda si propaga seducendo tutti.
Come ogni cosa anche questa nuova forma in cui identificarsi si corrompe e la sua decadenza è rappresentata dalla proclamazione della Pasticca a oggetto sacro, simulacro di un nirvana a cui tendere. Il punto di svolta è la morte della giovane raver, un cadavere intorno cui si scatena un ballo ancora più vertiginoso, la morte è gioco, non viene presa sul serio, è ingannata. Suscita l’interesse del popolo voyerista dei social che osservano la disfatta di questo mondo con curiosità e distacco attraverso i social che mediano la realtà e ciò che sembrava morto risorge come Idolo inarrivabile che detta gli status da emulare. Il prologo viene interrotto da un’attrice, che veste i panni della sposa prigioniera, imbellettata e truccata come una diva di altri tempi. Senza mezzi termini interrompe questa premessa scacciando tutti in malo modo… è il TEATRO, quello serio, quello voluto dal sistema, che ci richiama all’ordine e detta le condizioni su ciò che va fatto per fare lo spettacolo. “Che dunque abbia inizio”, recita l’attrice, “La Sposa Prigioniera”.
Cinque anni. E’ il tempo che Isabella ha aspettato, chiusa nella sua casa, tra mille lussi e un popolo sconosciuto. Non ha più memoria di quello che era prima, quella persona l’ha abbandonata quando ha deciso di sposare Fabio 6 anni fa. 1 anno di felicità e poi i rischi del mestiere bussano alla porta. Cinque anni. E’ la pena che Fabio deve scontare per i suoi crimini. E’ la pena che Fabio impone a sua moglie, alla sua onesta, brava e fedele moglie che lo aspetterà. Intanto fuori il mondo gira. Il sistema continua a funzionare. Cambia forma, cambia formazione, cambia formato ma ciò che lo alimenta è un moto perpetuo, invisibile, inafferrabile. Peppe, Marianna, Ciro e Carmine sono gli abitanti di questo sistema, sagome riconosciute di quel popolo sconosciuto di cui Isabella è entrata a far parte. Sono tutti vittime e carnefici in quella gabbia che il sistema ha costruito per loro.
Negli ultimi due anni il gruppo #GiovaniO’Nest è stato coinvolto in diversi progetti: da “Gli ultimi scugnizzi del rione”, spettacolo nato da un laboratorio intensivo sui testi di Ruccello e Viviani nell’ambito della prima edizione di Quartieri di Vita, alla partecipazione a due spettacoli della compagnia Nest “L’Otello” che ha debuttato al Teatro Bellini e ne ha aperto la stagione 2017/2018 e “Gli Onesti della Banda”, spettacolo prodotto per il Napoli teatro Festival 2017. Il gruppo ha poi seguito progetti laboratoriali pensati appositamente per loro, lavorando su tematiche importanti come la violenza, in TVATT teorie violente aprioristiche temporali e territoriali di Luigi Morra, o su nuove pratiche attoriali come il barbonaggio teatrale con Ippolito Chiarello.


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