Napoli, ‘falsa’ stesa sotto casa di Ciro Mariano. Quando il boss di difese dalle accuse del fratello pentito. LA DEPOSIZIONE

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C’è grande fermento ai Quartieri Spagnoli a Napoli per il ritorno in libertà dopo 30 ani di carcere del boss Ciro Mariano capo dei famigerati “Picuozzi”. La polizia che presidia la zona ha dovuto far fronte alla notizia risultato poi non veritiera di una sparatoria o meglio di una stesa proprio ai Cariati dove abita il boss. Nessun bossolo, nessuna ogiva, niente di niente. Tantomeno qualcuno della zona hanno confermato la notizia. Probabilmente si è trattato dell’iniziativa di un mitomane. Ma la tensione e l’attenzione da parte delle forze dell’ordine è alta. In primo luogo perché Ciro Mariano che ha pagato il suo conto con la giustizia senza mai cedere invece come ha fatto lo scorso anno il fratello Marco che uscito dal carcere nel 2013 e dopo aver cercato di rifondare il clan quando è stato riarrestato dopo poco ha deciso di pentirsi seguendo il suo braccio destro Maurizio Overa che nel frattempo era diventato il suo grande accusatore. Ora il ritorno in libertà di un boss del calibro di Ciro Mariano rimette di nuovo in discussione quelli che sono gli ultimi assetti criminali tra le varie famiglie malavitose dei Quartieri Spagnoli che una volta erano nell’orbita dei Mariano.

Con i Saltalamacchia  che mantengono rapporti saldi con i Ricci-“Fraulella” e con i Cardillo mentre su un fronte opposto si trovano i Masiello, i Mazzanti, i Terracciano. I Ferrigno, invece avrebbero creato un asse con i reduci dei Lepre e con i Festa nella zona del Cavone. E infine i Trongone che si sono ricreati il loro spazio nella zona di Piazza Borsa. Nuovi equilibri e vecchi incroci criminali che dovranno per forza tenere conto della presenza di Ciro Mariano che negli ultimi processi si era difeso strenuamente dagli attacchi del fratello pentito. “Mi volete condannare solo perché esisto. Se sono qui oggi è perché io non sono tempestiva­mente intervenuto nelle cavolate di mio fratello”. Aveva detto due anni fa in aula al maxi processo contro il clan Mariano, che si è concluso con la sua assoluzione mentre il pm aveva chiesto una condanna a 8 anni di carcere. Ciro Mariano in aula fece una lunghissima deposizione nella quale ripercorse la storia del clan. Eccola.

LE ATTIVITÀ COMMERCIALI
«Per quanto riguarda le attività commerciali e i proventi si dice che i miei figli hanno beneficiato del mio nome per fare affari. Questa teoria e accusa sono improponibili e non corrisponde ai fatti reali anche perché quest’accusa darebbe vita ad una nuova filosofia giuridica, ovvero il reato ereditario».



    IL CLAN MARIANO

    “Nel riassumere la mia storia posso sfatare alcuni luoghi comuni. Innanzitutto sull’esistenza del clan Mariano e sul predominio territoriale esercitato durante la detenzione. Agli inizi degli anni Ottanta, quando la criminalità si impadroniva di tutti i vicoli noi scugnizzi siamo stati costretti a fare la guerra per salvarci e questa non è una giustificazione ma un dato di fatto. Il clan Mariano non è mai esistito e non ci sono stati eredi e mai ci saranno. Per quanto riguarda l’ipotesi del predominio territoriale l’accusa ha rimosso che da più di un ventennio il sodalizio Misso, Sarno e compagni si sono divisi il predominio con i Secondiglianesi dei Quartieri Spagnoli. Ettore Sabatino e Salvatore Torino con i Russo dei Quartieri Spagnoli, operanti sotto il cartello Misso-Sarno hanno eliminato gli scissionisti. Dopo hanno avuto un conflitto con i Di Biasi ovvero i Faiano, causando una serie di omicidi. Tuttavia nessuno di costoro, cioè Sabatino, Torino, Misso, Sarno e Raffaele Scala, hanno chiamato in casa Mariano o qualcuno della loro famiglia per eventi delittuosi o illeciti durante tutta la loro collaborazione con lo Stato. Sempre rispetto al predominio territoriale che esercito ricordo al giudice che Marco Mariano in una intercettazione dice: “Non posso andare a nome di Ciruzzo perché non ha nulla Ciruzzo”»

    LE LETTERE DAL CARCERE

    «Per quanto riguarda la mia corrispondenza sequestrata, essa è circoscritta alla vita carceraria, di questo carcere ed è così da vent’anni. Estrapolare frasi delle mie lettere, ad effetto, non dà il senso compiuto del discorso ma soprattutto le trascrizioni sono inesatte. Non credo che sia crimine dire di“risalire la china” davanti allo sfascio della mia famiglia. Se confidare sull’aiuto di qualche detenuto per qualche piacere è un reato l’ho commesso. L’avrei poi commesso io che faccio l’azione non chi si limita a commentarla. Bisogna poi dimostrare se tale azione se pur pensata è stata poi fatta o no».

    LE “IMBASCIATE”

    «Per quanto riguarda le “imbasciate” si dice che mia sorella presenziava alle riunione e portava messaggi a mio fratello alle riunioni, dopo essere stata da me in carcere. Voglio dire che negli ultimi dieci anni ho visto mia sorella cinque volte, addirittura prima mai perché ero al carcere duro. A proposito dei colloqui in carcere: mia moglie non ha mai avuto un’autista personale per un lungo periodo quando ero cal carcere di Pianosa: mi moglie veniva con il fratello di un altro detenuto e con la moglie di questo detenuto tutti assieme».

    FABIO MARIANO

    «A mio figlio Fabio è stato attribuito l’accusa che avrebbe portato una mia imbasciata in occasione del colloquio effettuato al carcere di Melfi. Il contenuto dello stesso è quando io dico che: “voi state distinti da me, tutto il bene e tutto l’affetto ma dite che noi non vogliamo sapere nulla”. Ho chiesto a gennaio al pm, tramite delle lettere, di acquisire tutti i colloqui videoregistrati a Melfi in quanto si palesava chiaramente la distanza da mio fratello Marco e da tutte le sue iniziative».

    LE ACCUSE A MARCO

    «A proposito di mio fratello è chiaro che costui sta consumando la vendetta contro tutti coloro che non hanno voluto scegliere la strada della sua scelleratezza. Tutti coloro che hanno rifiutato di seguirlo. Ci tengo a precisare che confonde la viltà con il coraggio. Il vero coraggio ce l’ha suo fratello Salvatore da 25 anni a marcire in carcere da innocente. Dimostra ancora una volta il suo egoismo e che non merita il senso di commiserevole pietà. Per le accuse mosse a miei figli e ad Ernesto, ovvero di riciclaggio, posso dire che se avessi avuto partecipazioni nella loro attività commerciale di sicuro non sarebbero falliti e non ci sarebbe stata la necessità di accendere un mutuo sulla casa di mia moglie che tutt’ora pende. Mio figlio è uscito dalla società con zio Ernesto per i dispettucci e le angherie di Marco e adesso lui si trova a lavorare sotto padrone, come dipendente. Mio fratello Marco, non ho fatto accordi con Sarno, è uscito nel 2009 e l’ho visto la prima volta nel 2012 e si può controllare dai colloqui. In merito all’associazione, concordo con il pm, quando poi dice ad Overa a pagine 116 del faldone: ma che clan è questo? La brutta copia dell’armata Brancaleone? Spero che il mio passato non influenzi la sua decisioni non penalizzi i miei figli, glielo chiedo da padre. Marco mente di sapere di mentire»

    GLI ALTRI SOGGETTI

    «Per quanto riguarda mio cognato Ernesto Tecchio in 25 anni l’ho visto una sola volta tutto questo è controllabile dai tracciati dei colloqui. Mario Savio dice che “sta cercando lo zio”, ovvero Marco Mariano per una imbasciata a suo fratello Ciro e non viceversa. Mario Iuliucci detto “Marittone”, lo possiamo definire vicino a Mariano? Non l’ho mai conosciuto».

    GLI ALTRI PENTITI

    «Per quanta riguarda i collaboratori le loro dichiarazioni sono non spontanee né coerenti. Per esempio Saporito e Gallozzi risultano sconosciuti e non citati nelle intercettazioni ne da Maurizio Overa. È risaputo che chi spaccia deve pagare dazio ai clan e costoro non vengono chiamati da Raffaele Scala. Lui lo avrebbe saputo se i Mariano avessero fatto un affare di milioni di euro al mese. Misso-Sarno, non avrebbero mai permesso di spacciare senza il loro permesso». Per il boss sono non credibili Angelo Ferrara, Alfredo Cannavo, Luigi Giuliano, Salvatore Gaudino, Maurizio Overa e Ciro Sarno”.

    MAURIZIO OVERA

    «Lui dice che con i miei figli ha fatto due traffici di droga, il primo verificatosi nel 2003 e se ne ricorda per un mancato pagamento di 700mila. Afferma di aver ricevuto una mia imbasciata. Questa è una insinuazione priva di fondamento».

     


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