Rifiuti speciali in cambio di fatture false dal casertano al Veneto: 14 in manette

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Quattordici arresti di cui 13 eseguiti in carcere e uno agli arresti domiciliari, dieci indagati a piede libero, tre ditte sotto sequestro, lo spettro della camorra e una grande quantità di rifiuti speciali che sono stati smaltiti in modo illecito per una quantità di 22mila tonnellate, una quantità sufficiente a ricoprire l’intera piazza San Marco di Venezia oppure capace di formare una colonna di tir lunga 7 chilometri.

Sono i dati dell’operazione ‘Plastic Connection’, coordinata dalla Procura distrettuale Antimafia di Venezia. Le misure sono state eseguite dal Nucleo investigativo del Comando Provinciale di Belluno congiuntamente ai carabinieri forestali del NIPAAF, il Nucleo Investigativo di Polizia Ambientale Agroalimentare e Forestale, di Belluno al termine di una indagine durata due anni e ha riguardato l’intero territorio nazionale.

I militari hanno sgominato una vera e propria organizzazione dedita al traffico illecito di rifiuti, in cambio di fatture false. Oltre alle misure sopra descritte i militari hanno sequestrato siti dove i rifiuti venivano accumulati, conti correnti e quote societarie per un valore totale di un milione e mezzo di euro. Gli arresti e i sequestri hanno riguardato le province di Belluno, Padova, Vicenza e Treviso, Napoli e Avellino e Pisa.

    Secondo le accuse il traffico riguardava rifiuti speciali “a fine corsa” cioè scarti derivanti da lavorazioni industriali contenenti, in alcuni casi, anche sostanze pericolose che avrebbero dovuto essere destinati all’inceneritore e che invece viaggiavano da Sud a Nord. Questo sarebbe avvenuto grazie ad alcuni intermediari campani che caricavano nei tir i rifiuti di alcune grosse aziende del casertano e le smistavano in diverse aziende compiacenti del Veneto, specializzate nel trattamento dei rifiuti urbani di natura plastica.

    Qui i rifiuti, una volta arrivati a destinazione, sempre secondo l’inchiesta, venivano mescolati con quelli già presenti presso le ditte al fine di renderli irrintracciabili per poi essere smistati altrove, dove venivano accumulati in capannoni in diverse aree d’Italia o addirittura rivenduti per il riutilizzo senza pagare però i costi per il regolare smaltimento.



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