Le mani dei Casalesi sui rifiuti: condannati 5 imprenditori finiti nel processo ‘Black land’

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Tonnellate di rifiuti speciali sotterrati tra la Campania, la Puglia e la Basilicata. Il business controllato dalla camorra e dal clan dei Casalesi grazie ad imprenditori spregiudicati: la Cassazione conferma le condanne per cinque dei sei imputati finiti nel processo denominato ‘Black land’ nel quale vi è stato il contributo dell’ex boss casalese, oggi collaboratore di giustizia Carmine Schiavone, nella ricostruzione dei passaggi e dei metodi di smaltimento illegale. La terza sezione della Cassazione ha confermato la sentenza di Appello nei confronti di Gerio Ciaffa (3 anni, 9 mesi e giorni 10 di reclusione), Giuseppe Gammarota, Donato Petronzi, Giuseppe Zenga e Francesco Pelullo condannati tutti a due anni di reclusione ciascuno. Assolto invece per non avere commesso il fatto Michele Brandonisio. Gli imputati sono stati condannati anche alla rifusione delle spese sostenute dai Comuni di Ordona, Trani, Apricena, Cerignola e Carapelle, che si sono costituiti parti civili, liquidate in complessivi 2000,00 euro – oltre spese generali ed accessori di legge – a favore di ciascun ente. Erano originariamente 10 gli imprenditori finiti nell’inchiesta e accusati di avere – in concorso tra loro – al fine di conseguire l’ingiusto profitto rappresentato dal risparmio di spesa derivante dalla mancata attivazione delle corrette procedure di gestione dei rifiuti previste dalla legge, con più operazioni e con l’allestimento di mezzi ed attività continuative organizzate, gestito abusivamente ingenti quantitativi di rifiuti speciali.
Gli inquirenti hanno ricostruito il percorso di 300mila torrellate di rifiuti speciali provenienti dal Casertano e sotterrati nelle province di Foggia, Benevento e Potenza. Terreni agricoli avvelenati con oggetti in plastica, tubi di gomma e materiali edili di scarto. Rifiuti sotterrati a ‘sandwich’: strati di spazzatura e terreno. Pile di rifiuti fino a 12 metri di altezza erano stati trovati anche grazie alle dichiarazioni di Schiavone.
Secondo quanto accertato dalla Dia di Bari, i rifiuti casertani, conferiti dalla Gesia di Pastorano e dalla Ilside di Bellona (le cui attività sono già oggetto di indagine da parte dalla Procura della Repubblica di Santa Maria Capua Vetere) venivano smaltiti secondo una duplice modalità. Da un lato la frazione secca veniva conferita alla Spazio Verde Plus di Carapelle (Foggia) e, dopo essere stata trasportata presso l’impianto di stoccaggio di Foggia, veniva gradualmente smaltita illecitamente (mediante abbandono) in cave abbandonate di Trani e Poggio Imperiale nonché su terreni agricoli ed aree protette delle province di Foggia, Benevento e Potenza, utilizzando sempre come base operativa per gli smaltimenti illeciti l’area di parcheggio di Carapelle della società Ecoball Bat. Dall’altro lato, invece, la frazione umida veniva conferita all’impianto di compostaggio Biocompost Irpino di Bisaccia dove il rifiuto non trattato veniva semplicemente triturato e miscelato, per poi essere trasportato con documenti di trasporto che ne attestavano falsamente la natura di «ammendante compostato misto». Trattandosi di compost, quindi, non si rendeva necessaria l’ulteriore, prescritta documentazione per il trasporto dei rifiuti. Il tutto veniva poi smaltito all’interno di una ex cava di Ordona.


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