Cava de’ Tirreni vive un momento di profonda angoscia dopo l'omicidio di Anna Tagliaferri, un'imprenditrice amata dalla comunità, che ricorda come la violenza domestica possa colpire chiunque, trasformando un pomeriggio ordinario in una tragedia inaspettata.
Cava de’ Tirreni è sotto una cappa di dolore e incredulità. Un pomeriggio di ordinaria quotidianità si è trasformato in una tragedia che ha scosso l’intera comunità: Anna Tagliaferri, 40 anni, è stata uccisa a coltellate dal compagno all’interno di un’abitazione in via Ragone.
Dopo l’aggressione, l’uomo ha ferito la madre della donna, intervenuta nel disperato tentativo di salvarla, e infine si è tolto la vita lanciandosi dalla finestra del palazzo. È morto sul colpo.
Una sequenza di violenza estrema che porta ancora una volta alla ribalta il dramma dei femminicidi, una piaga che non conosce confini geografici né sociali e che continua a colpire anche in Campania, con numeri e storie sempre più allarmanti.
La conferma della dinamica arriva direttamente dal sindaco di Cava de’ Tirreni, Vincenzo Servalli, che ha affidato a un post sui social il suo sgomento:
«Uccide la compagna, nota imprenditrice cavese, ferisce la madre di lei e si suicida buttandosi nel vuoto dal palazzo dove è successa la tragedia».
Il primo cittadino si è recato sul posto pochi minuti dopo l’accaduto, mentre la città restava paralizzata davanti all’ennesimo dramma consumato tra le mura domestiche.
Anna Tagliaferri non era solo una vittima. Era una donna conosciuta e stimata, volto e anima della storica Pasticceria Tirrena, un punto di riferimento per intere generazioni di cavesi.
Solo un mese fa, proprio il sindaco le aveva consegnato una targa di riconoscimento per celebrare i 50 anni di attività dell’azienda di famiglia, fondata e portata avanti con passione insieme ai fratelli Osvaldo e Federico. Un’eccellenza dolciaria diventata simbolo di lavoro, tradizione e identità cittadina.
Per questo la notizia ha avuto un impatto ancora più profondo: non una tragedia lontana, ma una ferita che attraversa la città, colpendo una famiglia conosciuta, una donna impegnata, una madre, una figlia.
Il Comune, in segno di lutto, ha sospeso tutte le iniziative natalizie in programma. I messaggi di cordoglio si moltiplicano sui social e nelle chat, tra incredulità e rabbia. «Non ci sono parole», scrivono in molti. Ed è proprio il silenzio, spesso, a raccontare meglio di ogni altra cosa la devastazione lasciata da eventi simili.
Una scia di sangue che non si ferma
Quello di Cava de’ Tirreni non è un caso isolato. In Campania, come nel resto d’Italia, il numero dei femminicidi continua a crescere, spesso consumati all’interno di relazioni sentimentali o familiari. Donne uccise da compagni, ex compagni, mariti che non accettano la fine di un rapporto, la libertà dell’altra persona, la possibilità di un “no”.
Secondo i dati nazionali, la maggior parte delle donne viene assassinata in casa, in quello che dovrebbe essere il luogo più sicuro. La violenza esplode spesso dopo anni di controllo, gelosia, minacce mai denunciate o sottovalutate. E quando arriva, è definitiva.
La Campania figura da tempo tra le regioni con un numero significativo di casi, segno di una emergenza sociale e culturale che va oltre la cronaca nera. Non si tratta di raptus, ma di una cultura del possesso che continua a generare morte. Ogni volta, dopo l’ennesimo nome, la stessa domanda: si poteva evitare?
Oltre il dolore, la responsabilità collettiva
La morte di Anna Tagliaferri impone una riflessione che va oltre l’indignazione del momento. Serve prevenzione, ascolto, protezione, una rete reale per chi vive situazioni di rischio. Servono segnali colti in tempo, istituzioni presenti, ma anche una società capace di riconoscere e contrastare la violenza prima che diventi irreversibile.
Anna era una donna conosciuta, indipendente, imprenditrice. Eppure non è stata risparmiata. Questo dimostra che nessuna è immune, e che la battaglia contro i femminicidi riguarda tutti: famiglie, scuole, istituzioni, media.
A Cava de’ Tirreni resta una città ferita, una famiglia distrutta, una madre sopravvissuta al dolore più grande. E resta un nome da non dimenticare, perché ogni femminicidio è una sconfitta collettiva.




