Napoli - Nel suo lungo racconto ai magistrati della Dda di Napoli, Salvatore Giuliano detto 'o russo - collaboratore di giustizia ed ex figura di raccordo tra diversi gruppi camorristici - ricostruisce innanzitutto la struttura interna del clan operante al rione Sanità, riconducibile all’asse Savarese-Sequino.
le sue dichiarazioni sono contenute nelle oltre 130 pagine dell'ordinanza cautelare, firmata dal gip Ivana Salvatore, che tre settimane fa ha portato in carcere i vertici del clan Savarese-Sequino del rione Sanità.
Secondo il pentito, Genny De Marino aveva un ruolo chiave: non solo organizzava le riunioni operative, ma curava i rapporti con altri clan storici, in particolare con i Mazzarella, ed era pronto a scendere in strada quando bisognava “sparare”. Una figura, dunque, insieme diplomatica e militare.
La gestione armata era invece affidata a Sasillo, indicato come il referente esclusivo della componente militare: era lui a sapere dove reperire armi e mezzi per le azioni di fuoco, intervenendo ogni volta che il clan decideva di alzare il livello dello scontro.
Accanto a loro, Gianluca detto ’o pedofilo curava due attività centrali per le casse del gruppo: i cavalli di ritorno per i motorini rubati nel quartiere e lo spaccio di stupefacenti, rifornendo le piazze della Sanità con droga acquistata direttamente dai Mazzarella, in particolare da Salvatore Barile. A recarsi personalmente per l’approvvigionamento, spiega Giuliano, erano spesso lo stesso Gianluca e Salvatore Savarese, alias ’o mellone.
Ed è proprio ’o mellone a essere indicato come il “ragioniere” del clan: contabilità, gestione del denaro e redistribuzione della droga alle piazze di spaccio passavano da lui.
Una tensione che covava da tempo
Il racconto si sposta poi su uno dei passaggi più delicati dell’ordinanza: il conflitto con il clan Lepre del Cavone, storico gruppo radicato nell’area di Piazza Dante.
Quando Giuliano esce dal carcere, trova una situazione già compromessa. I rapporti tra i due gruppi sono tesi, segnati da contrasti antichi mai realmente risolti. È in quel contesto che lui e i suoi cugini, appartenenti al clan Giuliano, tentano di tessere una rete di relazioni per evitare il peggio.
Il collaboratore chiarisce di aver cercato una mediazione coinvolgendo i principali esponenti della Sanità — De Marino, Sasillo, Savarese, Giulio Pirozzi detto ’o picuozzo — e i rappresentanti del Cavone, molti dei quali conosciuti personalmente.
Ma la gravità della situazione emerge pienamente solo durante un incontro avvenuto a casa di Salvatore Barile, punto di riferimento dei Mazzarella. È lì che Giuliano comprende che la frattura tra Sanità e Cavone è ormai profonda e che si è arrivati a una vera e propria rottura.
Le stese e il pestaggio: la miccia accesa
Secondo Giuliano, tra l’estate e l’autunno del 2020 si consumano almeno tre o quattro scontri armati tra i due gruppi.
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Uno degli episodi più gravi nasce dal pestaggio di un giovanissimo nipote dei Lepre, forse legato a Masaniello, avvenuto in via Salvator Rosa. Subito dopo, uomini della Sanità — Sasillo, Sasone, De Marino e Gianluca ’o pedofilo — avrebbero esploso colpi di arma da fuoco.
La risposta non tarda ad arrivare. Nella stessa serata, Francesco Lepre, figlio di ’o sceriffo, insieme a Giuseppe Lepre, spara verso la zona alta della Sanità, in direzione Materdei. Una rappresaglia mirata, che segna il punto più alto dello scontro.
Giuliano racconta di essere stato informato immediatamente da Genny De Marino e di aver compreso che la situazione stava precipitando.
Il summit di Forcella: la pace imposta
Il giorno successivo viene organizzata una riunione decisiva a Forcella, in un’abitazione messa a disposizione da una donna estranea ai clan, Lucia, in via Sant’Agostino alla Zecca. Un luogo “neutro”, scelto proprio per evitare ulteriori tensioni.
Attorno a quel tavolo siedono rappresentanti di tutti i principali gruppi cittadini:
– per i Giuliano, lo stesso Salvatore Giuliano, Alessio Vicorito e Cesare Morra;
– per la Sanità, Savarese ’o mellone, De Marino e Gianluca ’o pedofilo;
– per il Cavone, Masaniello, Giuseppe e Luigi Lepre, Francesco Lepre e ’o faggiano;
– per i Mazzarella, Barile, Capuano e Bonavolta;
– per i Quartieri Spagnoli, Saltalamacchia, Masiello detto Cucù e Boxer.
La riunione, racconta Giuliano, è caotica: accuse incrociate, recriminazioni sull’appartenenza ai rispettivi clan, parole che si contraddicono nel giro di pochi minuti. Ma alla fine emerge una linea comune.
La tregua e l’avvertimento finale
Il summit si chiude con una tregua forzata. De Marino e Masaniello vengono incaricati di parlarsi e di sanare i dissidi. Ma soprattutto viene fissata una regola chiara: chi avesse sbagliato ancora sarebbe stato colpito dai propri stessi alleati.
Una sorta di “giudizio interno” imposto dall’alto per fermare una spirale di violenza che stava danneggiando gli affari di tutti.
Dopo quell’incontro, spiega il collaboratore, non si registrano più stese né scontri aperti tra Sanità e Cavone, salvo un episodio minore che coinvolge persone estranee ai clan. Fino al suo arresto, conclude Giuliano, la situazione resta sotto controllo.
Una pace armata, fragile, ma sufficiente - almeno per un periodo - a evitare che Napoli si ritrovasse con un’altra faida in piena esplosione.
Fonte REDAZIONE






Commenti (1)
Il articolo e’ interessante ma ci sono molte cose che non capisco bene, tipo come si fa a gestire un clan cosi grande. E’ complicato e difficile per chi non conosce bene la situazione. Spero di capire di più.