Camorra, il pentito in aula: “Ho ucciso un innocente, chiedo perdono pur sapendo di non meritarlo”

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“Chiedo perdono sapendo di non meritarlo, ho ucciso una persona innocente. Per i suoi familiari non ci sara’ mai piu’ pace”.

E’ la confessione  di Antonio Pipolo, 30 anni, che, collegato in videoconferenza dal carcere in cui si trova, ha raccontato in aula di aver ucciso  l’operaio incensurato Antimo Imperatore, la cui unica colpa e’ stata quella di trovarsi a casa del boss Carlo Esposito, reggente dei clan De Martino nel rione Fiat del quartiere Ponticelli di Napoli il 20 luglio del 2022.

Tre giorni dopo si presentò in questura e chiese di parlare con i magistrati della Dda di Napoli per confessare quel duplice omicidio perchè aveva saputo che il suo stesso clan che gli ordinato l’omicidio aveva deciso la sua eliminazione.

E oggi al processo ha spiegato: “Ho ucciso Esposito, poi ho visto la sagoma di un uomo e ho fatto fuoco”. Imperatore era in quell’appartamento perche’ stava aggiustando le tapparelle di un balcone. Estraneo alla malavita e’ stato ucciso per errore. I familiari si sono costituiti parte civile nel processo che vede Pipolo come unico imputato.

Pipolo era scampato la sera prima a un agguato in una discoteca di Posillipo: “Mi accorsi di quello che stava succedendo e scappai in tempo”. Poi si armo’ e “in una macchina di una donna-pusher che conoscevo mi feci accompagnare a casa di Esposito. Entrai e lo uccisi, poi vidi un altro uomo e feci fuoco”.

Poi il suo lungo racconto con la spiegazione di tutto quello che è avvenuto nel giro di una notte:  “C’erano da poco stati gli arresti per l’omicidio di Carmine D’Onofrio, in quel periodo consumavo molta cocaina e sentivo che c’era chi non si fidava più di me. Ho capito che volevano eliminarmi, perché mi chiesero con insistenza di organizzare una serata in discoteca.

Chiamai un amico di un locale di Posillipo, prenotai un tavolino, ma quando partimmo per raggiungere il locale, mi dissero di cambiare meta. Nella mia auto, c’erano due soggetti dei Quartieri spagnoli, che mi dissero di seguire un’auto che viaggiava davanti.

Andammo in una discoteca che si trova nei pressi dell’ippodromo di Agnano, quando entrai nel locale, rimasi impressionato da una serie di particolari. Accanto a me, si avvicinò un ragazzo dei Quartieri spagnoli, che non mi mollava un attimo. Era insistente nello starmi addosso, simulando confidenza e amicizia che non riuscivo a spiegare. Rimasi seduto per un poco, sempre con questo giovane accanto, quando venne a salutarmi una ragazza”.

Secondo Pipolo è probabile che volessero simulare un litigio in pista per poi ucciderlo. “Quella ragazzza, senza farsene accorgere, mi diede due pizzichi sulla gamba, facendomi un’espressione con gli occhi, come per dirmi di allontanarmi da quel posto. A questo punto lasciai la discoteca, ma capii che per me era stato organizzato un piano fin nei particolari. La mia auto era infatti bloccata da un’altra auto, che per altro avevo riconosciuto, perché era una vettura che avevo spostato per conto dei De Micco, qualche giorno prima.

Era la conferma che si trattava di un parcheggio finalizzato a non farmi allontanare dal locale. Entrai in auto, provai a fare retromarcia, ma era tutto inutile. Nel frattempo vidi sopraggiungere quello che si era incollato a me. Mi accorsi che era armato, capii che si trattava di un agguato. Aveva la faccia pallida, livida, come quella dei killer. Ma sono stato fortunato, perché accanto a me un’auto si era spostata, consentendomi di azzardare una manovra che mi ha consentito di scappare!”.

Una volta a casa, Pipolo cerca contatti in videochiamata con il boss De Micco, ma anche contatti con Salvatore Barile, genero dei Mazzarella e uno dei capi della cosca di potente della zona orientale di Napoli.

“Capii che dovevo allontanarmi da casa, scappare via da Napoli, che ero un uomo morto. Andai a casa di un uomo agli arresti domiciliari, che custodiva le armi del clan. Mi feci dare una pistola e vado a casa di una mia conoscente, che gestisce una piazza di spaccio. Le chiedo di accompagnarmi da Esposito e mi nascondo in auto, riuscendo a superare le vedette.

Esco dall’auto, salgo a casa di Esposito e trovo la porta aperta. Esposito resta fermo e gli chiedo di farmi il caffè, così tanto per smorzare la tensione. Appena si muove gli sparo e lo ucciso. Un attimo dopo, vedo la sagoma di una persona, purtroppo la uccido. Chiedo perdono, perché ho strappato una persona per bene dall’affetto dei suoi cari, sapendo di non meritarlo”.


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