Giulia Cecchettin ha lottato per 25 minuti prima di morire: spunta un testimone

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Ci sarebbe un testimone che ha assistito all'aggressione a da parte di ripresa dalle telecamere di sorveglianza dello stabilimento Dior sabato sera al parcheggio in via Quinta Strada a Fossò.

Si tratterebbe di un addetto alla sorveglianza dello stabilimento che da dentro la guardiola avrebbe assistito alla scena e sentito la urla della giovane. La guardiola infatti è presidiata tutte le notti da addetti alla sicurezza.

Sarebbe stato proprio l'addetto alla sorveglianza di turno in quelle ore a riferire ai carabinieri che Giulia urlava “mi fai male”. Le telecamere a circuito chiuso che hanno registrato la scena infatti non hanno audio e non puntano direttamente sulla strada pubblica ma sul parcheggio di Dior e hanno quindi ripreso la scena parzialmente.

Giulia Cecchettin ha lottato per quasi 25 minuti prima di arrendersi al suo carnefice. Lo si legge nell'ordinanza di custodia del Gip di Venezia, che ripercorre gli orari della doppia aggressione di sabato 11 novembre, di cui è accusato l'ex fidanzato Filippo Turetta, ora in carcere in Germania.

Giulia gridava: “Così mi fai male”

Le grida d'aiuto di Giulia, e l'invocazione “così mi fai male” vengono udite – si legge nelle carte – da un vicino di casa alle 23.15, nel parcheggio a 150 metri da casa Cecchettin. Quando l'azione omicida si è già spostata invece nella zona industriale di Fossò, e si vede Turetta che carica il corpo in auto, l'orario è quello delle 23.40.

In 22 minuti le aggressioni e l'agonia

Secondo la ricostruzione cronologica effettuata dalla Procura, è alle 23.18 che il teste segnala l'aggressione in via Aldo Moro, a circa 150 metri da casa Cecchettin. Una voce femminile urla “così mi fai male” chiedendo ripetutamente aiuto; poi il teste vede “calciare violentemente una sagoma che si trovava a terra” e poi la Punto allontanarsi.

E' qui che sono state trovate tracce di sangue e un coltello da cucina di 21 centimetri, senza manico, assieme un'impronta di calzatura, sporca probabilmente di sangue. Dalle telecamere di Fossò, distante da circa 6 chilometri, è quindi emerso che Giulia, ferita ma non gravemente, sarebbe riuscita a fuggire venendo inseguita da Filippo, che l'ha scaraventata a terra, cade all'altezza del marciapiede e non si muove più.

L'aggressore la muove, poi va a prendere la macchina, la carica probabilmente nel sedile posteriore e fugge. Sul marciapiede sono stati poi trovati sangue con capelli sullo spigolo stradale e un pezzo di nastro telato argentato intriso di sangue e capelli “probabilmente applicato alla vittima per impedirle di parlare”, scrive il giudice.

Anche qui è stata poi trovata una impronta sporca di sangue di una calzatura, risultata compatibile con quella del parcheggio di Vigonovo. Erano le 23.40; alle 23.50 la Punto nera è uscita dall'area, poi è stata vista in vari punti delle province di Venezia, Treviso. L'ultima inquadratura è alle 9.07 del 12 novembre, da Cortina in direzione .

L'impronta ‘simbolo'. scarpa di lui mista a sangue lei

L'hanno cancellata stamattina, era ancora li'. I pallini della suola ben visibili, il sangue, la “traccia ematica” nel linguaggio scientifico. E' arrivato un operaio del comune di Vigonovo con la tuta arancione sotto a un cielo bianco, si e' chinato con una spazzola e ha strofinato sul cemento la candeggina.

Sparita, come la macchia su un vestito. Occupava due piastrelle l'impronta della scarpa da ginnastica di Filippo Turettta mescolata al sangue di Giulia Cecchettin. Un'impronta. lunga come il piede di un ragazzo alto un metro e ottanta. Lei, cosi' si capisce dalla lettura delle carte dell'indagine, era scesa dall'auto di lui sanguinante per le coltellate dopo la prima aggressione nel parcheggio a pochi metri dalla casa di lei.

Lui l'ha inseguita per riprendersela ancora una volta, l'ultima volta, e ha lasciato la sua firma sul sangue. La fuga di Giulia per essere libera, la voglia di Filippo di tenerla ancora accanto a se', per poi, molti chilomentri dopo, sempre secondo la ricostruzione dell'accusa, aggredirla di nuovo, buttarla a terra, farle perdere altro sangue fino a morire con troppo sangue ancora in corpo per resistere, “shock emorragico”, scrive la giudice.

E poi gettarla in un dirupo per farla scomparire alla vista di chi la cercava. Ma quell'impronta e' rimasta li' per dieci giorni, ci sono passati accanto tante volte le maestre e i bambini dell'asilo che si affacciano sulla piazzetta.



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5 Commenti

  1. Mi chiedo come sia possibile che nessuno si sia accorto di quello che stava succedendo, soprattutto se c’erano telecamere di sorveglianza.

  2. Questo è un triste esempio di quanto ancora sia necessario lavorare per combattere la violenza di genere nella nostra società.

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