foto archivio
“Se vogliamo fare lo sport che fa bene alla salute, si fa la corsetta, la passeggiata. Ma non è certo questo il caso dello sport professionistico, quindi estremizzato. Se stavo bene tutto ok, ma io andavo in campo anche se non ero in perfette condizioni. I tempi di recupero erano stretti, si doveva giocare e quindi è possibile che abbia abusato di qualche farmaco”.
Così Marco Tardelli, campione del mondo a Spagna ’82, in una intervista al ‘Corriere della Sera’ sul tema del doping e sull’assunzione di farmaci come il Micoren. “E chi non l’ha preso? Quando giocavo io, anni 80-90, non c’era quella attenzione alla farmacologia di adesso: il giocatore è più seguito a livello medico, assistito anche sotto l’aspetto psicologico.
Un tempo, non era così. C’era un medico di società, un po’ come quello di famiglia: se il giocatore aveva un problema, il dottore lo valutava e se proponeva un farmaco, permesso ribadisco, il giocatore lo assumeva e andava in campo”, ha aggiunto.
“Adesso le società hanno messo a disposizione dei giocatori una struttura medica più complessa, sicuramente più preparata. Non che i medici di una volta non lo fossero, ma non esisteva assolutamente una organizzazione come quella attuale”, ha spiegato. “Dino Baggio non ha fatto un j’accuse, ha chiesto di capire: datemi una mano a comprendere cosa ho assunto, quali conseguenze possono esserci.
La verità è che ogni organismo reagisce in modo diverso”, ha proseguito. Quanto il timore rispetto ai farmaci assunti in passato ha così risposto: “Spero di essere fortunato, tutto qui. Non credo che ci sia un legame diretto tra le medicine prese e la morte prematura di certi sportivi. Nessuno ha mai spiegato questa relazione. Come si fa a sostenerlo? Certo che centenari nello sport non si vedono. La normalità è 80- 82-83 anni, forse perché il nostro corpo è maggiormente usurato”.
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