Centro vaccinale di Torre Annunziata: viaggio nell’inciviltà della Sanità

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Torre Annunziata. “Prega che non piova e prega che qui non ci sia nessuno che abbia il Covid, e poi prega anche perchè ti facciano il vaccino. Altrimenti? Altrimenti sei fritto!”.

Sono le 12,30 e qualcosa già dal primo mattino – ma forse anche da prima – è sfuggito di mano nel centro vaccinale antiCovid di Piazza Cesaro a Torre Annunziata, in provincia di Napoli.

Siamo nell’Asl Napoli 3 Sud, una delle più grandi della Campania e qui, nell’ex ospedale civile – la struttura ospedaliera chiusa anni fa che ora ospita solo ambulatori del distretto 56 – vengono chiamati per il vaccino i cittadini di Torre Annunziata, Boscoreale, Boscotrecase e Trecase. E’ aperto dal 5 marzo scorso. Oggi è il 26 aprile, ed è passato oltre un mese. Fragili e non hanno appuntamento per oggi. Alle 12,30 c’è la ressa, vaccinandi e accompagnatori di anziani ultra 70enni, soggetti fragili con gravi patologie, si anticipano prima delle ore 13 – orario di convocazione – e dal portone d’ingresso dell’ex ospedale civile si affrettano verso la palazzina con il cartello ‘Centro vaccinazione Covid’.

Circa un mese di attesa dopo l’inserimento sulla piattaforma della Soresa per il vaccino, ed ecco arrivato il grande giorno per sperare di uscire dall’incubo Covid. Quel cartello sembra foriero di un ritorno alla normalità. E invece, pochi attimi ed è il caos. Bisogna conquistarsi un numero per l’accettazione. Ci sono ancora in attesa circa 40 persone del turno precedente.



    Davanti alla porta della palazzina con cartelli scritti a mano ‘Dose 1’ ‘Dose 2’ c’è una bustina attaccata con lo scotch ma è vuota. L’infermiera esce e urla: ‘rispettate la fila’. Quale fila? Nel piazzale non c’è una fila, ma solo gente in attesa di avere un numero. L’infermiera urla ancora: “Siate civili, non scavalcate chi è arrivato prima!”. Gli astanti chiedono il numero. “I numeri non li mettiamo, abbiamo già distribuito i primi cento. Se li metto si confondono”.

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    Dentro  si chiama il numero 57, sono i vaccinandi del mattino. “Ma allora mettete almeno i numeri fino a 50” propone qualcuno. L’infermiera si convince e mette nella bustina di carta artigianale dei foglietti stampati e tagliati con le forbici. ‘Evviva’ ci si può mettere in fila. A quel punto è una ressa, a chi arriva prima e prende il numero più basso. La distanza, le misure di sicurezza, il Covid non esiste più nulla.

    La corsa al numero ha annullato ogni paura. E mentre anziani e fragili vengono fatti sedere su sedie di fortuna, pietre e muretti perchè non stanno più in piedi, gli accompagnatori si lanciano nella corsa alla fortuna. Ecco, ora è ritornata la calma. Si può attendere il proprio turno senza guardare con sospetto chi arriva dopo e vuole fare il furbo. ‘E ora cosa si fa?’ Si chiedono i presenti. “Dovete aspettare, vi chiamiamo e parlate con i medici”. Si entra in cinque o sei alla volta in una piccola anticamera e si attende di parlare con i dottori.

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    Negli ambulatori i medici ricevono i vaccinandi, passandosi un elenco stampato con i nomi dei prenotati. Nessuno ha un computer. Fogli sparsi sulle scrivanie, nessun dispositivo per misurare la febbre, non c’è il disinfettante. Qui si lavora alla ‘buona’ come in un accampamento nel deserto. Ci si affida al signore per evitare di infettarsi e per ricevere presto il vaccino.

    Facce stanche è il fine turno e all’interno si cerca di fare presto. “Lei è prenotata per ricevere Astrazeneca” è sbrigativo il medico. “Scusi dottore risponde la vaccinanda ma io ho delle gravi patologie, anche il mio medico di base mi ha consigliato di non farlo”. E la risposta è uguale a prima. “Lei è prenotata per Astrazeneca, cosa vuole fare?”. Ma la scheda dell’anamnesi sulla piattaforma? Nulla non è servita a nulla. Al centro vaccinale di Torre Annunziata non hanno neanche il collegamento con un computer. “Come si chiama? Ah, ok… allora che fa?”. Non c’è verso di ottenere una risposta diversa e l’anziana signora firma. Rifiuta il vaccino e dovrà essere inserita nuovamente sulla piattaforma.

    Qualcuno invece dopo aver fatto tre ore di fila e aver avuto questo strano e kafkiano colloquio con il medico viene indirizzato in un’altra palazzina con l’indicazione di quale tipo di vaccino dovrà fare.

    Qualche decina di metri e finalmente ci si può vaccinare. Pochi minuti di attesa e poi la puntura. Il tempo necessario per controllare che il paziente non abbia reazioni e si va.

    Il centro vaccinale di Piazza Cesaro più che un presidio medico sembra un accampamento di disperati in cerca di sollievo. Dal 5 marzo, giorno in cui è stato aperto, per vaccinare gli anziani del distretto 56 ha fatto migliaia di vaccini. E non sono mancate le proteste, per la calca, per la mancanza di ogni misura anti-covid, per il mancato rispetto di regole che fuori da quelle mura avrebbe spinto qualsiasi esponente delle forze dell’ordine alla chiusura immediata così come si fa per i locali nei quali si fa assembramento, nei quali non vi sono i dispositivi minimi di sicurezza e non si rispettano le distanze. Ma nel centro vaccinale torrese i controlli non sono mai arrivati e si vivono situazioni da ‘quarto mondo’ con persone anziane e fragili fatte accomodare su sedie di fortuna e se proprio va male, per terra o sui muretti. Qui, non è come nel film Benvenuti al Sud che si piange quando si arriva e quando si parte. Al centro vaccinale di Torre Annunziata bisogna pregare, ma almeno tre volte. E’ l’organizzazione incivile della Sanità campana, il modello deluchiano del ‘Si salvi chi può, chi davvero può. E gli altri si arrangino pure’.

    Rosaria Federico


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