‘Fosco (storia de nu matto)’ di e con Peppe Fonzo, al Teatro Elicantropo di Napoli

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Le note malinconiche di una fisarmonica, quella di Flavio Feleppa, nu scicareddu, un asinello appena accennato da semplice filo di ferro, e dal buio appare Fosco, uomo dal cuore aperto. Ha inizio così Fosco (storia de nu matto) racconto intenso dalla drammaturgia amara, scritto diretto e interpretato da Peppe Fonzo, in scena da giovedì 20 dicembre alle ore 21.00 (repliche fino a domenica 23), al Teatro Elicantropo di Napoli. Presentato da Magnifico Visbaal Teatro, l’allestimento ripercorre la vita di un uomo semplice, dedito al lavoro in una sorta di ‘cunto’ di altri tempi. Fosco è uno spettacolo ispirato a “lu Frasulino”, brano dialettale assolutamente sconosciuto di Domenico Modugno, che mescola la narrazione teatrale a momenti musicali e altre perle del cantautore salentino (lu Salinaro, Sciccareddu mbriaco, La sveglietta), scavando nella tradizione popolare dell’entroterra meridionale.
“Fosco lu matto” è un personaggio ai margini, il pazzo buffone che tutti deridono, sempre insultato e bastonato, un disadattato che brucia solitudine. Prima era uno come gli altri, con un lavoro, una casa, una vita monotona e integrata nella comunità, ma un giorno impazzisce e diventa “lu scemo de lu paese”, ma nessuno si chiede il perchè. Anzi, pare che per tutti sia meglio così. Sullo sfondo le immagini di un paesino del sud, non meglio identificato, un contesto in cui la durezza della vita, la difficoltà dell’ignoranza danno corpo alla storia de “nu povero cristo”. “E’ un lavoro – scrive Peppe Fonzo in una nota – dedicato a un mio pro zio, Peppe Lu Negus, lu scemo di Casalbore (paese originario di mia madre arroccato su una montagna nell’entroterra Sannita, che confina con la Puglia), luogo al quale s’ispirano ambientazioni, episodi e inflessione dialettale. Peppe lu negus era un inavvicinabile, viveva con il suo asino e solo a lui rivolgeva la parola”. In scena l’attore e il fisarmonicista si alternano in una commistione sonora, linguistica e fisica, accompagnano lo spettatore in un percorso che odora di cenere, di pietra, di terra, di sale e di fatica, dove le note del musicista e la voce dell’attore creano momenti comici, drammatici, malinconici e surreali. Fosco è lo scemo del villaggio con gli occhi arrossati che non vedevano, e, tra ricordi e canzoni, fa pensare all’andare della vita, si ritorna a quelle realtà antiche di paesi del sud, di pietre arse dal sole, di odore di sale, di sale che spacca la pelle e brucia le ferite.
In questo contesto si muove “Fosco ‘u salinaro”, che ha come alter ego solo Peppino, ‘u ciucciariello”, e il suo mestiere duro e faticoso, tutto per pochi ‘piccioli’.




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