Cultura

Pompei Scavi e Pompei Città: tra fregi, sfregi e archeomostri. Ma sopravvive il loro intimo legame territoriale

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Stavolta è stata la Segreteria Generale de L’Altritalia Ambiente a scendere direttamente in campo sul Grande Progetto Pompei. Si apprende che l’Associazione Ambientalista ha scritto al Ministro Bonisoli e al Presidente della Commissione Parlamentare On. Gallo, rivendicando la dovuta attenzione alla propria attività di portatrice di interessi collettivi, anche nella sua opposizione alla costruzione dell’archeomostro. Lo sbrigativo appellativo giornalistico di archeomostro se lo è meritato il grosso fabbricato tirato su con denaro pubblico nel cuore della Pineta demaniale degli Scavi di Pompei, a una decina di metri di distanza dalla Porta di Stabia e dalla murazione difensiva antica. In area demaniale, peraltro sottoposta a Protezione Integrale (!) dal Piano paesistico vigente, evidentemente, soltanto per i comuni mortali. Ma questo é il versante giudiziario che non spetta a noi indagare oltre. Il fabbricato risulta grossolano per la sua incoerenza, collidente con i grandi valori archeologici, storici, paesistici e ambientali del sito. La decisione della sua costruzione risale a tre o quattro anni fa, in avvio del Grande Progetto Pompei, quando la urgenza di “fare”, portando a casa qualche risultato immediato, era forte. Fu allora che la Dirigenza degli scavi pompeiani e il Segretariato Regionale dei Beni Culturali procedettero a concedere l’autorizzazione alla costruzione dell’archeomostro, complice la pressocché totale latitanza del Comune di Pompei. Ora l’archeomostro è là, a mostrare la sua stazza immanente, del tutto fuori scala rispetto al contesto delle poche case demaniali ottocentesche che, con la Cappella di San Paolino, punteggiavano in quel tratto l’antica via Regia delle Calabrie.

E proprio là sta in questi giorni sorgendo anche un “cazzariello” stabile, in acciaio e muratura su piattaforma di cemento, che tutto è fuorché precario. Esso si prefigura in stile “neopompeiano”. L’insieme risulta un orrendume, non altro, nonostante il vincolo di Protezione Integrale. E alla faccia del resto del mondo. Perché siamo a Pompei, sito UNESCO e perché proprio di fronte c’è la Porta di Stabia e la murazione difensiva pompeiana, che nel sito si innesta sulla colata lavica con grande effetto scenografico. Poco lontano, a circa cinquanta metri dall’archeomostro, fu scoperto casualmente negli anni ’80 del Novecento un tratto del basolato della Via Regia. Esso fu lasciato “in mostra” con una ringhiera protettiva intorno, affinché “raccontasse” un po’ della storia del Sito di Porta di Stabia. E sarebbe ancora oggi visibile, se non fosse coperto e obliterato da erbacce e trascuratezza. Eppure il sito di Porta di Stabia è parte della storia urbanistica di Pompei, la Pompei moderna. La via Regia era infatti continuamente coperta da “colate” di lapilli e fango provenienti dall’alto della collinetta che ancora ricopriva in gran parte Pompei antica. Intorno al 1770, della soluzione del problema era stato già incaricato nientemeno che Vanvitelli, allora impegnato alla Reggia di Caserta. E la soluzione definitiva poi adottata fu lo spostamento del tracciato viario verso Sud, in due fasi di allontanamento dalla cinta muraria degli Scavi, prima nel Settecento e poi nell’Ottocento. L’odierno Viale San Paolino non è altro che il reliquato della soluzione definitiva che diede origine alla Via Plinio odierna, più o meno. E’ insomma un pezzo della antica via Regia punteggiato ancora dall’abitato ottocentesco. Una parte di quell’insediamento fu albergo per i turisti, i quali potevano arrivarci a piedi dalla poco distante e ancora esistente Stazione borbonica “Pompei Scavi” ex FFSS.
Non esisteva ancora infatti la attuale Stazione del centro città, voluta fortemente da Bartolo Longo. La digressione ci è servita a illustrare come nell’Ottocento e ancor prima ci fu chi – alla guida degli Scavi Pompeiani – colse la necessità di dare luce ed evidenza alla cinta muraria meridionale degli scavi, prima che Maiuri completasse l’opera nel Novecento. Oggi invece qualcuno – portando ostinatamente a termine l’archeomostro – si è voluto fregiare del merito di cancellare una parte di questa storia, essenziale per capire e far capire il rapporto territoriale diacronico ininterrotto che esiste tra la Pompei antica e la Pompei moderna. Il prezzo però è pagato dalla Collettività ed è lo sfregio dell’immagine storicizzata del contesto paesistico ambientale di Porta di Stabia. Con l’archeomostro e il cazzariello in acciaio e muratura. Eppure l’Altritalia Ambiente che ha segnalato l’oltraggio pensava possibile un ripensamento progettuale. Ma le SSLL se ne “fregiano”, come Ettore Petrolini. Ora va così…

Federico L. I. Federico


Articolo pubblicato il giorno 13 Novembre 2018 - 16:38
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