Armi e pizzini: nuovi guai per gli uomini di Matteo Messina Denaro

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Devono rispondere anche di detenzione illegale e di ricettazione di arma da guerra Vittorio Signorello e Vincenzo La Cascia, due dei fermati nell’operazione congiunta di carabinieri, polizia e Dia denominata “Anno Zero”, portata a termine sotto il coordinamento della Dda di Palermo il 19 aprile scorso. I fermi sono stati convalidati dai Gip dei tribunali di Marsala (Trapani) e Sciacca (Agrigento) e gli atti trasferiti poi nel capoluogo siciliano: adesso nelle carte ci sono i riferimenti precisi alle armi ritrovate nel corso delle perquisizioni. I due trapanesi – gia’ sotto inchiesta perche’ ritenuti appartenenti alla cerchia dei fiancheggiatori del superlatitante Matteo Messina Denaro – devono rispondere del possesso di due diverse pistole, ritrovate nel corso delle perquisizioni effettuate durante l’esecuzione dei 22 provvedimenti cautelari: Signorello, che ha 55 anni, e’ accusato dei reati relativi a entrambe le armi, una pistola calibro 9 marca Tokarev a canna lunga, di fabbricazione sovietica, e una Beretta calibro 9 a canna corta; il settantenne La Cascia e’ indagato per la pistola russa, sprovvista di numero di matricola, che fu ritrovata in un terreno di Campobello di Mazara (Trapani), ritenuto a lui riconducibile. L’arma, nonostante risalisse a molti anni fa, al periodo antecedente la dissoluzione dell’Urss (1989-’90), era perfettamente efficiente ed era stata messa in un tubo che impediva all’umidita’ del terreno di penetrare e di danneggiarla. Della “Tokarev” – usata dall’Armata Rossa gia’ agli inizi del XX secolo e durante la Seconda guerra mondiale – Signorello parlava in alcune conversazioni intercettate e da qui le ricerche mirate, effettuate dai carabinieri del gruppo speciale Cacciatori di Calabria, coronate dal ritrovamento. La Beretta era invece materialmente in possesso di Signorello, nascosta nella sua abitazione di Castelvetrano: si tratta di un’arma oggetto di furto e per questo all’indagato viene contestata anche la ricettazione.  “Una statua gli devono fare, una statua allo zio Ciccio (Francesco Messina Denaro, padre del latitante Matteo, ndr)”. Cosi’ Vittorio Signorello, uno dei due presunti fiancheggiatori del clan mafioso di Castelvetrano (Trapani) adesso destinatari di accuse collegate alla detenzione di armi, si esprimeva in alcune conversazioni intercettate: “Che vale una statua di Padre Pio? Ci devono mettere allo zio Ciccio e a quello accanto, quelli sono i santi”. Signorello parlava cosi’ appena lo scorso mese, il 18 marzo: “Io ho le mie vedute – spiegava al cognato di Messina Denaro, Gaspare Como – significa essere colpevole? Arrestami! E’ potuto essere stragista, le cose giuste…”. A questo aggiunge considerazioni di tipo politico-qualunquistico: “Mangia e fai mangiare, voialtri tanto mangiate, state facendo diventare un paese… L’Italia e’ uno stivale pieno di merda, le persone sono scontente, questo voi fate, glielo posso dire? Arrestatemi… sino alla morte come diceva quello…”. Ancora piu’ gravi altre affermazioni fatte da Signorello, che pur di farsi bello agli occhi degli uomini del superlatitante, si spingeva a giustificare l’omicidio del piccolo Giuseppe Di Matteo, sciolto nell’acido, a gennaio del 1996, per punire il padre, Santino, detto Mezzanasca, uno dei pentiti fondamentali per la ricostruzione delle responsabilita’ della strage di Capaci. Commettendo un evidente errore storico-processuale (attribuiva a Riina, arrestato tre anni prima, un crimine in realta’ progettato e posto in essere da Giovanni Brusca), Signorello diceva che il boss aveva “fatto bene” a sciogliere il ragazzino nell’acido: “Giusto e’? Ha rovinato mezza Palermo quello, allora perfetto, e’ pentito… va bene a posto”. Il suo interlocutore, un commerciante che pur di non denunciare le estorsioni si era fatto condannare per favoreggiamento, interveniva a sua volta: “Dico il bambino e’ giusto che non si tocca, pero’ aspetta un minuto perche’ a due giorni lo poteva sciogliere Settecento giorni sono due anni, tu perche’ non ritrattavi tutte cose? Se tenevi a tuo figlio… allora sei tu che non ci tenevi”. Conclude Signorello: “Dice: ‘Sono protetto, non mi possono fare niente” si’, a te, pero’ ricordati coglione che una persona la puoi ammazzare una volta, ma la puoi far soffrire un mare di volte e allora no, meglio morire… lui ha fatto la sua scelta e quello ha fatto la sua!”. 


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