Dopo il Blue Whale arriva ‘Black out’: l’ultima sfida mortale delle generazione H

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Provare a impiccarsi con il cavo della play station per vedere che effetto fa la fame d’aria? “Per la Generazione H, nata e cresciuta con Internet e social, dal web arrivano continuamente nuove sfide, provocazioni che trovano terreno fertile in un’età, quella dell’adolescenza, dove c’è la voglia di sfidare la paura, i limiti, di misurarsi con la morte”. Parola della psicologa, psicopedagogista e psicoterapeuta Maria Rita Parsi, che ha analizzato con la sezione Salute dell’agenzia di stampa Adnkronos, un fenomeno messo in luce dal recente caso di Tivoli. Qui, come ha riportato il ‘Messaggero’, nei giorni scorsi un quattordicenne si sarebbe salvato per un soffio dopo che avrebbe provato a mettere in atto il “blackout”, un gioco social noto anche come Fainting game o Choking game, in cui ci si sfiderebbe a soffocarsi con cavi, fili e persino catene di bicicletta.
A chiedergli aiuto la vicina di casa che, bussando con forza alla sua porta, gli raccontava subito dopo che il figlio adolescente si era chiuso in bagno e non rispondeva più. Così il poliziotto fuori servizio si è recato nella casa della vicina e, non ricevendo risposta dal ragazzo, ha deciso di forzare la porta riuscendo ad aprirla. All’interno il ragazzo privo di sensi: utilizzando il filo del computer come cappio, lo aveva legato al termosifone e poi si era fatto cadere nella vasca da bagno strozzandosi.Il poliziotto ha reciso il cavo mettendo il ragazzo sul pavimento. Soccorso prima dagli agenti del commissariato di Tivoli, che gli hanno praticato un massaggio cardiaco, poi dal personale sanitario dell’ambulanza, il giovane è stato salvato. Al momento si trova tutt’ora ricoverato in ospedale. “Sfide del calibro della Blue Whale, che all’inizio pensavo fosse una leggenda metropolitana, da tentare possibilmente sotto gli occhi di ammiratori virtuali”, aggiunge Parsi, che alla “Generazione H” ha dedicato un volume (Piemme). -Ma chi è la generazione H? “Sono i ragazzini di oggi, esposti sin dalla più tenera età alla seduzione del web. Vivono immersi nello schermo, dello smartphone o del pc, perennemente connessi tra loro e con tutto il mondo, ma spesso lontani dalla realtà. Il problema è che i nostri ragazzi sono preda di questi strumenti potentissimi, e fanno i conti con il gap delle generazioni precedenti: genitori e nonni che non sanno usare come loro smartphone e tablet”. Gli adulti arrancano, mentre i ragazzini fanno volare le dita sulla tastiera e decretano il successo di nuovi social. Ma rischiano anche di farsi male. “Sono soli con strumenti potentissimi, e con la voglia di sfidare limiti e paura tipica della preadolescenza e adolescenza. La stessa virtualità – avverte Parsi – spegne l’idea del pericolo”. Per questo motivo trovano terreno fertile sfide anche rischiosissime, messe in atto da soli per il like di amici e ammiratori virtuali. “Chi non conosce i propri limiti tema il suo destino, diceva Aristotele. Ma per questi ragazzi – ammonisce Parsi – il virtuale ormai è una divinità, uno strumento potentissimo senza mediazioni e controlli. Sono molto dura col virtuale – conclude – ma questo è il motivo”.




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