Ci sono clan che scompaiono con l’arresto dei capi e altri che, invece, imparano a sopravvivere al tempo, alle faide e alle sentenze. Il clan Amato-Pagano appartiene a questa seconda categoria: una struttura criminale capace di attraversare vent’anni di storia giudiziaria napoletana senza mai spezzarsi davvero.
Nato dal sangue della prima faida di Scampia, cresciuto all’ombra della scissione dal clan Di Lauro, espulso e poi rientrato nel grande gioco della camorra dell’area nord, il gruppo Amato-Pagano – secondo la Direzione distrettuale antimafia – non ha mai smesso di esistere, limitandosi a cambiare pelle, uomini e modalità operative.
L’ordinanza cautelare firmata dal gip Isabella Iaselli non racconta solo una nuova ondata di arresti. È piuttosto una mappa dettagliata del potere camorristico che resiste, fatta di parentele, mesate, intestazioni fittizie, summit riservati e flussi di denaro che scorrono sotto traccia. Un sistema che continua a reggersi sulla stessa regola non scritta: il clan viene prima di tutto, anche dei suoi capi storici, anche delle sue sconfitte.
Secondo la ricostruzione della DDA, il clan Amato-Pagano è stato per anni il perno del cosiddetto “cartello scissionista”, egemone dopo la prima faida di Scampia. Anche dopo l’espulsione dai quartieri settentrionali di Napoli nel 2011, il gruppo non si è dissolto.
Al contrario, si è riorganizzato, stringendo un’alleanza organica con il clan Vinella Grassi, vincendo la terza faida di Scampia e riaffermando il proprio dominio nei comuni a nord della città. Il traffico all’ingrosso di cocaina, le estorsioni e il controllo delle piazze di spaccio restano – per gli inquirenti – il cuore del potere economico del sodalizio.
La forza del clan, però, non sarebbe stata solo militare o economica, ma soprattutto organizzativa. Dopo le catture dei fondatori e dei reggenti storici, la direzione sarebbe rimasta all’interno della stessa famiglia, con un passaggio di consegne che ha visto emergere anche figure femminili in ruoli apicali e di coordinamento. Un modello che ha garantito continuità, superando fratture interne e momenti di crisi.
All’interno di questo quadro si collocano le singole contestazioni. C’è chi avrebbe avuto il compito di controllare il territorio, chi di trasmettere le “imbasciate” dei vertici, chi di gestire le mesate destinate agli affiliati liberi e detenuti e alle loro famiglie. Un sistema assistenziale che, secondo l’accusa, non è beneficenza, ma uno strumento di potere: pagare le famiglie significa garantire silenzio, fedeltà e coesione.
Il denaro, poi, viene fatto circolare con estrema attenzione. Carte prepagate intestate fittiziamente, ricariche frazionate, operazioni studiate per ostacolare l’identificazione della provenienza illecita dei fondi. Anche i beni di lusso seguono la stessa logica: automobili sportive e motocicli intestati a prestanome o a società di comodo, ma nella piena disponibilità di soggetti ritenuti di vertice. Ogni bene è uno status symbol, ma anche un patrimonio da sottrarre a sequestri e confische.
Non mancano le attività estorsive. Secondo gli atti, il clan avrebbe tentato di inserirsi anche nel settore delle aste immobiliari, un ambito considerato strategico perché consente di intercettare affari “puliti” e di imporre il proprio controllo evocando il peso del nome Amato-Pagano. Le frasi intercettate, dirette a chi aveva acquistato un immobile all’asta, restituiscono il linguaggio tipico dell’intimidazione camorristica: richieste che partono alte e poi si riducono, sempre accompagnate dal richiamo all’appartenenza al clan.
C’è poi la dimensione difensiva dell’organizzazione. La distruzione di microspie e apparati di intercettazione installati dalle forze dell’ordine racconta la capacità del gruppo di sorvegliare il territorio e di reagire direttamente all’azione investigativa. Un segnale di forza e di controllo, ma anche di consapevolezza di essere sotto osservazione.
Infine, il ruolo di chi non sarebbe formalmente affiliato, ma mette a disposizione beni e spazi: abitazioni utilizzate per summit e riunioni operative, luoghi sicuri dove parlare lontano da occhi e orecchie indiscrete. Anche questo, per la Procura, rappresenta un contributo concreto e decisivo al rafforzamento del clan.
Ecco di seguito ricostruiti i singoli capi di imputazioni e le contestazioni della Dda a tutti gli indagati
L’ASSOCIAZIONE CAMORRISTICA: LA STORIA, IL POTERE, LA CONTINUITÀ
È il capo portante dell’ordinanza. Qui la DDA ricostruisce l’intera architettura criminale del clan Amato-Pagano, dalla nascita nel sangue delle faide di Scampia fino alla sua persistente operatività almeno fino al 2024-2025.
Il provvedimento ripercorre la genesi del cartello scissionista, nato dopo la prima faida di Scampia (2004-2005) che frantumò il clan Di Lauro. In quel contesto il gruppo Amato-Pagano si affermò come baricentro del nuovo sistema criminale, federando altri clan e imponendo la propria egemonia sul traffico di cocaina e sulle estorsioni nell’area nord di Napoli.
Dopo essere stato estromesso nel 2011 da Scampia, Secondigliano e Casavatore, il clan non scompare: si riorganizza, si salda con la Vinella Grassi, vince la terza faida di Scampia (2012-2013) e consolida il controllo su Melito, Mugnano e Arzano, mantenendo una presenza indiretta anche nei quartieri a nord di Napoli.
Il cuore dell’accusa è la continuità della struttura associativa, capace di sopravvivere a decapitazioni, arresti e conflitti interni. I giudici descrivono una leadership familiare, con passaggi di consegne interni al nucleo Amato-Pagano e un ruolo centrale, in più fasi, ricoperto da figure femminili, come Pagano Rosaria e successivamente Amato Debora, nella direzione strategica del clan.
I ruoli degli indagati
Giulia Barra: figura di collegamento, incaricata della distribuzione delle mesate, della gestione delle imbasciate e del supporto alle attività di riciclaggio.
Luigi De Blasio: uomo d’ordine e di fiducia, addetto al controllo del territorio, alla trasmissione delle direttive dei vertici e alla gestione dei flussi di denaro.
Gennaro Vastarelli: presenza operativa nelle piazze di spaccio di Scampia.
Ciro Diano: ruolo polivalente, tra controllo del territorio, spaccio e supporto alle attività di riciclaggio anche all’estero.
Il clan viene qualificato come associazione armata, finanziata in larga parte dai proventi del traffico di droga e delle estorsioni.
L’INTESTAZIONE FITTIZIA DELLA POSTEPAY: IL DENARO CHE NON DEVE LASCIARE TRACCE
Qui emerge il meccanismo di schermatura finanziaria del clan. Secondo l’accusa, Luigi Diano, già condannato per 416 bis e figura apicale, utilizza Giulia Barra come intestataria fittizia di una carta Postepay Evolution, mentre Ersilia Salvati si occupa materialmente delle operazioni di apertura e ricarica.
La carta, formalmente intestata alla Barra, sarebbe stata nella piena disponibilità di Diano, per consentirgli di eludere misure di prevenzione e facilitare il riciclaggio dei proventi illeciti.
Un sistema semplice, ma efficace: denaro sporco che viaggia su strumenti “puliti”, apparentemente intestati a soggetti incensurati o marginali.
IL RICICLAGGIO: FRAMMENTARE, NASCONDERE, DISSIMULARE
Le ricariche e i movimenti sulla Postepay vengono letti come operazioni di riciclaggio, finalizzate a ostacolare l’identificazione della provenienza delittuosa delle somme, almeno 8 mila euro, provenienti dalle casse del clan.
La Salvati è indicata come esecutrice materiale delle operazioni, consapevole del disegno criminoso e della destinazione del denaro.
LE “MESATE” AI FAMILIARI: LA CAMORRA CHE SI PRENDE CURA DEI SUOI
Questo capo fotografa uno degli elementi strutturali delle organizzazioni camorristiche: l’assistenza economica ai detenuti e alle loro famiglie.
Secondo l’accusa, Valentina Caiazza riceve per anni uno stipendio mensile dalle casse del clan, alimentate da estorsioni, droga, gioco illegale e armi. Non un aiuto occasionale, ma una retribuzione sistematica, funzionale a mantenere la coesione del sodalizio e a garantire fedeltà.
La “mesata” diventa così strumento di controllo sociale e criminale.
L’ESTORSIONE NELLE ASTE IMMOBILIARI: IL CLAN ENTRA NEI TRIBUNALI
Qui il clan prova a mettere le mani su un settore strategico: le aste giudiziarie.
Calzone Carlo e Mangiapili Vincenzo avrebbero tentato di estorcere denaro a una coppia aggiudicataria di un immobile a Mugnano, evocando apertamente l’appartenenza al clan Amato-Pagano. Le frasi intercettate restituiscono il linguaggio brutale dell’intimidazione camorristica, con richieste che partono da 10 mila euro e vengono “trattate” al ribasso.
L’estorsione non va a buon fine, ma per la Procura gli atti sono idonei e univoci.
L’AUDI RS3: BENI DI LUSSO E PRESTANOME
Ancora intestazioni fittizie. Una Audi RS3 Sportback viene formalmente intestata a Claudio Gulotta, ma secondo l’accusa è nella disponibilità di Luigi Diano. L’auto rappresenta status, mobilità e potere, e al tempo stesso un bene da sottrarre alle misure di prevenzione.
Contratti di locazione simulati e società di comodo completano il quadro.
LE MICROSPIE: IL CLAN CONTRO LO STATO
Qui emerge la reazione diretta del clan all’attività investigativa.
Un gruppo di affiliati avrebbe individuato e distrutto microspie e apparati di intercettazione installati dalle forze dell’ordine a Mugnano.
È un capo che racconta la capacità del clan di controllare il territorio e di difendersi attivamente dalle indagini.
IL CONCORSO ESTERNO: LA CASA SICURA DI MELITO
Somma Ida e Foria Pasquale non sono affiliati, ma secondo l’accusa mettono a disposizione la loro abitazione per summit e riunioni operative del clan.
Un contributo concreto, stabile e consapevole, che rafforza l’organizzazione pur restando formalmente all’esterno.
IL T-MAX: ANCORA SCHERMI PATRIMONIALI
Stesso schema del capo 6.
Un T-Max intestato a Daniele Stanzione, ma riconducibile a Luigi Diano, tramite una società di comodo. Il fine è sempre lo stesso: eludere sequestri e riciclaggio.
LA MESATA CHE DURA 14 ANNI
Chiude l’ordinanza il caso di Teresa Tabasco, che avrebbe ricevuto la mesata dal 2010 al 2024 in quanto moglie di un affiliato detenuto.
Un flusso di denaro lungo quattordici anni, che dimostra – secondo i giudici – la solidità finanziaria e organizzativa del clan Amato-Pagano, capace di sostenere nel tempo il proprio sistema assistenziale.
Gli Amato-Pagano, un clan che si adatta al presente
Resta una certezza difficile da ignorare: il clan Amato-Pagano non è un residuo del passato, ma una struttura che ha saputo adattarsi al presente.
Non più solo lupara e agguati, ma carte prepagate, società di comodo, beni di lusso intestati a prestanome, appartamenti trasformati in sale riunioni e famiglie sostenute da stipendi che tengono in vita il vincolo associativo. È una camorra che investe, assiste, protegge e punisce, seguendo logiche imprenditoriali senza rinunciare alla forza intimidatrice del nome.
In questo quadro, le figure femminili, i familiari, i soggetti apparentemente “periferici” diventano ingranaggi essenziali di un’organizzazione che continua a muovere denaro e consenso sul territorio di Melito, Mugnano e Arzano. La storia che emerge non è quella di un clan decapitato, ma di un sistema che si rigenera dopo ogni arresto, pronto a riorganizzarsi sotto nuove reggenze e nuove alleanze.
È questa la vera posta in gioco descritta nelle carte giudiziarie: non soltanto colpire singoli affiliati, ma interrompere una continuità criminale che, dalle faide di Scampia ai flussi finanziari del 2024, dimostra come la camorra, quando riesce a farsi sistema, sappia sopravvivere a tutto. Anche allo Stato.
L'elenco degli indagati
Giulia Barra – Napoli, 31.07.1964
Luigi De Blasio – Napoli, 17.03.1984
Ciro Diano – Napoli, 11.07.2000
Pasquale Foria – Napoli, 24.10.1975
Claudio Gulotta – Napoli, 09.08.1984
Ida Somma – Aversa (CE), 01.03.1968
Daniele Stanzione – Napoli, 15.03.1982
Gennaro Vastarelli – Napoli, 29.07.1987
Valentina Caiazza – Napoli, 13.09.1993
Ersilia Salvati – Napoli, 19.12.1988
Teresa Tabasco – Napoli, 06.03.1973
(nella foto 4 degli arrestati Pasquale Foria, la moglie Ida Somma, Luigi De Blasio, Ciro Diano)