
Napoli – Ciro Andolfi, noto come “’o russo”, è stato arrestato dopo anni di latitanza, segnando la fine della fuga dell’ultimo grande boss di Barra, un evento che riaccende l'attenzione sulla fragile stabilità del quartiere e sull'evoluzione della camorra locale.
Napoli– Per anni è stato la primula rossa della periferia Est, l’ultimo grande nome della camorra di Barra rimasto fuori dal carcere mentre tutti gli altri boss storici finivano dietro le sbarre. Ciro Andolfi, detto “’o russo” o “’a loffa”, classe 1977, fratello del più noto Andrea “’o minorenne”, cognato dei Cuccaro e figura apicale dell’omonimo clan, è stato a lungo l’unico ras storico irreperibile del quartiere.
Una latitanza silenziosa, condotta lontano dai riflettori ma sempre sotto l’attenzione degli investigatori, fino alla cattura che ha messo fine alla sua fuga, confermando che anche i fantasmi della camorra prima o poi tornano visibili.
Su Andolfi pendeva infatti un ordine di carcerazione per una condanna definitiva: diversi anni di reclusione mai scontati per intero grazie a una complessa vicenda giudiziaria che lo aveva riportato in libertà nel 2019.
Da allora, pur formalmente sottoposto a misure di controllo, era diventato irreperibile, sottraendosi all’esecuzione della pena e trasformandosi nell’ultimo simbolo della vecchia guardia camorristica ancora in circolazione a Barra.
Il vuoto dei boss e il salto generazionale
L’assenza di Ciro Andolfi dal territorio si è sommata alla detenzione di tutti i boss storici delle famiglie Cuccaro e Aprea, creando un vuoto di potere che – come evidenziato nelle analisi della Direzione distrettuale antimafia – è stato colmato attraverso il tradizionale salto generazionale. A reggere i clan sono stati figli, nipoti e affiliati più giovani, spesso privi dell’autorevolezza dei padri criminali.
Ed è proprio in questo contesto che, come ha messo nero su bianco il gip nell’ordinanza contro il gruppo Valda, gli equilibri si sono spezzati. Le alleanze storiche hanno iniziato a scricchiolare, dando vita a una faida interna fatta di agguati, ferimenti, ordigni rudimentali e “stese”, riportando Barra al centro della mappa della tensione camorristica napoletana.
La scarcerazione del 2019 e la strategia difensiva
Nel 2019 Andolfi era tornato in libertà per fine pena, dopo aver trascorso quasi dieci anni consecutivi in carcere. Su di lui gravava una misura di libertà vigilata con obbligo di firma – non quotidiana – presso il commissariato San Giovanni-Barra. Una condizione che segnava una netta cesura rispetto al passato detentivo, ma che non chiudeva definitivamente i conti con la giustizia.
Alla base della scarcerazione vi fu una raffinata strategia difensiva: i legali riuscirono a dimostrare la continuazione tra i reati di associazione mafiosa ed estorsione, con l’assorbimento del primo nel secondo. Il risultato fu una rideterminazione della pena: da 15 a 8 anni complessivi, spalancando le porte del carcere a uno dei nomi più pesanti della camorra orientale.
L’inchiesta sull’Auchan e il ruolo nel clan
Ciro Andolfi era finito nei guai già nel 2007, quando era considerato un uomo di primo piano nello scacchiere criminale di Barra, all’epoca dominato dall’asse Andolfi-Cuccaro-Aprea. Un’inchiesta della Dda di Napoli, condotta dalla Squadra mobile e dal commissariato San Giovanni-Barra, colpì duramente il clan facendo emergere una maxi estorsione ai danni di imprenditori impegnati nella realizzazione del centro commerciale Auchan di Ponticelli.
Il pizzo venne richiesto prima ancora dell’apertura dello store, quando i lavori erano in fase avanzata. Decisivi furono l’incrocio delle indagini degli investigatori e la denuncia di uno dei costruttori taglieggiati, che fece crollare il muro di omertà. Nell’indagine emerse anche il coinvolgimento di uomini legati al boss detenuto Giovanni “’ponta ’e curtiello”.
Gli spari sotto casa e il messaggio di guerra
Negli anni successivi, nonostante una tregua armata tra i cartelli Aprea-Valda e Cuccaro-Andolfi, la criminalità organizzata a Barra non ha mai cessato di operare. Lo dimostrano gli spari esplosi sotto l’abitazione riconducibile a Ciro Andolfi, un raid intimidatorio avvenuto dopo il maxi blitz del 28 novembre che aveva decapitato il clan De Luca Bossa a Ponticelli.
Secondo gli investigatori, quei colpi di pistola rappresentavano un messaggio trasversale, legato ai presunti rapporti d’affari tra uomini dei Cuccaro-Andolfi e il clan del Lotto Zero. Un segnale di sdegno e di avvertimento che avrebbe potuto portare la firma di ambienti vicini ai De Micco-De Martino, in particolare al gruppo dei Bodo, desiderosi di rivalsa dopo gli arresti.
La cattura e il messaggio dello Stato
La lunga fuga di Ciro Andolfi si è conclusa con la cattura da parte dei Carabinieri del Nucleo Investigativo di Napoli, che lo hanno assicurato alla giustizia ponendo fine a una latitanza che lo aveva fatto inserire nell’elenco dei 100 latitanti più pericolosi.
Un arresto salutato come simbolico dalla presidente della Commissione parlamentare Antimafia, Chiara Colosimo:
“Nessun latitante sarà mai al sicuro. La cattura di Ciro Andolfi dimostra, ancora una volta, che la lotta alla camorra è incessante”.
Con l’arresto di “’o russo” si chiude un capitolo cruciale della storia criminale di Barra. L’ultimo ras storico libero non lo è più. Ma il quartiere resta un terreno fragile, dove l’eredità dei vecchi boss continua a pesare sulle nuove generazioni criminali.
Fonte REDAZIONE





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