Napoli – Nell'aula 318 della Corte d'Appello, Francesco Pio Valda rompe il silenzio. Condannato in primo grado all'ergastolo per l'omicidio di Francesco Pio Maimone, il 18enne pizzaiolo ucciso la notte del 20 marzo 2023 agli chalet di Mergellina, il giovane di Barra ha pronunciato dichiarazioni spontanee che miravano a scuotere le coscienze, o forse a cercare clemenza.
"Non vado fiero di quello che ho fatto", ha mormorato, chiedendo perdono a una famiglia distrutta da un gesto folle, scatenato da una scarpa pestata.
Queste parole, lette dopo il deposito di un memoriale di quattro pagine scritto di suo pugno, arrivano a distanza di oltre due anni e mezzo da quella notte tragica. Valda parla di notti insonni, di paura e rimorso, rivolgendosi non solo ai genitori della vittima, ma anche ai suoi coetanei, quasi a volersi spogliare dei panni del "baby boss" che la cronaca gli ha cucito addosso.
Ma per Antonio Maimone, padre della vittima, questo tentativo di umanizzazione arriva fuori tempo massimo. Ascoltando quelle scuse, ha sentito il bisogno di dare voce a chi voce non l'ha più, immaginando una replica impossibile tra due ragazzi che portano lo stesso nome, ma che hanno scelto strade diametralmente opposte.
La replica immaginaria: "Io sceglievo il lavoro, tu la pistola"
Ecco il testo integrale della lettera che Antonio Maimone ha scritto, immaginando le parole di suo figlio:
"Ciao Francesco Pio Valda, io sono Francesco Pio Maimone.Potrebbe interessarti
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Anch’io sono vissuto in un quartiere di periferia come il tuo, nelle case popolari di Pianura. Anch’io come te amavo le cose belle: le scarpe nuove e firmate, il motorino, i divertimenti. La mia famiglia è povera. Per soddisfare i miei desideri e alcuni “capricci” avevo dinanzi due possibilità: cedere alle lusinghe della malavita o andare a lavorare.
Io ho scelto di andare a lavorare: all’età di undici anni lavavo i bidoni della spazzatura per racimolare 20 euro; poi ho fatto altri mestieri: il muratore, il fruttivendolo, l’idraulico, il fabbro, ho imparato addirittura ad aggiustare le lavatrici; infine ho fatto il rider mentre con mia sorella ho conseguito l’attestato di pizzaiolo con cui avrei aperto la pizzeria con le mie sorelle grazie al Progetto “Io Resto al Sud”.
Anche la mia vita non è stata semplice, ma io ho scelto l’impegno e l’onestà. Le nostre scelte sono state diverse, purtroppo. Le tue scelte sono state causa della mia morte: proprio io che amavo tanto la vita.
Vorrei concludere con questo mio pensiero: ho sempre odiato le armi perché ho sempre saputo che il rispetto non si compra con un’arma. Le ultime mie parole: rispetto e amore per la vita".
Due destini incrociati
Il confronto a distanza tra i due Francesco Pio non potrebbe essere più stridente. Da una parte Valda, che dal carcere parla di rimorso e invita i giovani a non seguire il suo esempio; dall'altra la memoria viva di Maimone, che con il suo esempio concreto – fatto di bidoni lavati a 11 anni e sogni di una pizzeria tutta sua – dimostra che l'alternativa alla violenza esiste ed è una scelta quotidiana.
Antonio Maimone respinge le scuse al mittente, definendo Valda "non credibile" perché "non si cambia dall’oggi al domani". La sua non è vendetta, ma una ferma rivendicazione di dignità per un figlio che è stato "vittima innocente della criminalità e del degrado morale". Mentre il processo d'appello si avvia verso la sentenza prevista per dicembre, resta il monito di un padre che, attraverso le parole immaginate del figlio, ricorda a una città intera che il rispetto si costruisce con il sudore, non con i proiettili.






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