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Napoli, ucciso e sciolto nell’acido, ma senza l’aggravante di mafia: il caso Giulio Giaccio torna in aula

Libera, Fondazione Pol.I.S. e i familiari del 26enne chiedono che venga riconosciuto il delitto di stampo mafioso: «Giulio è una vittima innocente, non si può negare la verità». Il 7 novembre l’appello decisivo.
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Napoli - Venticinque anni dopo quella notte di fine luglio in cui Giulio Giaccio fu rapito, ucciso e sciolto nell’acido, il suo nome torna a riecheggiare nei tribunali e nelle piazze. Il prossimo 7 novembre, infatti, la Corte d’Appello sarà chiamata a pronunciarsi su un punto decisivo: il riconoscimento o meno dell’aggravante mafiosa nell’omicidio del giovane di Marano di Napoli, vittima innocente della camorra del clan Polverino.

Se l’aggravante dovesse essere esclusa anche in secondo grado, Giulio rischierebbe di non essere riconosciuto dallo Stato come vittima innocente di mafia.

È questo il nodo che ha spinto Libera, la Fondazione Pol.I.S. e il Coordinamento dei familiari delle vittime di innocenti di criminalità a lanciare un nuovo appello: «Chiediamo alle istituzioni di non voltarsi dall’altra parte – si legge nel comunicato congiunto – e di ristabilire la verità e la giustizia. Pur rispettando le sentenze, non faremo un passo indietro: Giulio Giaccio è una vittima innocente di mafia».

Il suo nome, assicurano i rappresentanti delle associazioni, continuerà a essere pronunciato ogni 21 marzo, nella Giornata della memoria e dell’impegno in ricordo delle vittime innocenti delle mafie, insieme a quello di centinaia di altre persone uccise per errore, per caso o per aver difeso la legalità.

Una vita spezzata per uno scambio di persona

Era la sera del 30 luglio 2000 quando Giulio, 26 anni, scomparve nel nulla.

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Di lui non si seppe più nulla fino a quando, oltre dieci anni dopo, le dichiarazioni di alcuni collaboratori di giustizia rivelarono la verità: Giulio era stato rapito e ucciso da esponenti del clan Polverino, che lo avevano scambiato per un’altra persona, un certo Salvatore, considerato “colpevole” di una relazione sentimentale con la sorella di uno dei camorristi.

Una relazione che, nel codice d’onore distorto dei clan, rappresentava una vergogna da lavare con il sangue. Giulio non c’entrava nulla. Era solo un ragazzo di buona famiglia, vittima della violenza cieca di chi si sentiva padrone della vita e della morte degli altri.

L’attesa infinita dei genitori

Per anni, Giuseppe e Rosa Giaccio hanno sperato nel ritorno del figlio. Una speranza coltivata nel silenzio, alimentata solo dall’amore e dal desiderio di conoscere la verità. Poi, le confessioni dei pentiti hanno infranto definitivamente ogni illusione.

Oggi, quella famiglia continua a chiedere giustizia piena. «Non vogliamo vendetta, ma verità – dicono i familiari – perché Giulio sia riconosciuto per quello che è: una vittima innocente della camorra».

Un simbolo da non dimenticare

Il caso di Giulio Giaccio è diventato un simbolo delle vittime dimenticate, di chi è stato strappato alla vita per un errore, e di famiglie che da decenni chiedono che la legge e la memoria collettiva riconoscano il loro dolore.

Il 7 novembre, nell’aula di giustizia, si deciderà se quel riconoscimento arriverà anche per lui. In piazza, come ogni anno, ci sarà chi pronuncerà ad alta voce il suo nome, perché la memoria non si scioglie. Neanche nell’acido.

Articolo pubblicato il 5 Novembre 2025 - 15:10 - A. Carlino

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