Milano -“Nessuna premeditazione per l’omicidio, l’avvelenamento era per farla abortire”: questa la sintesi delle motivazioni della Corte d’Assise d’appello di Milano depositate oggi che hanno confermato la sentenza all’ergastolo per Alessandro Impagnatiello, l’uomo che il 27 maggio del 2023 ha ucciso la fidanzata Giulia Tramontano incinta al settimo mese.
La mancata premeditazione aveva già fatto discutere alla lettura del dispositivo ora le motivazioni spiegano il ragionamento dei giudici della Corte d’Assise d’appello ma, probabilmente, sono fuori dalla logica dei non giuristi e soprattutto della famiglia che il 25 giugno scorso, alla lettura del dispositivo aveva reagito con parole durissime.
Impagnatiello, secondo quanto hanno ricostruito i giudici nel primo e secondo grado della sentenza, già a dicembre 2022 aveva fatto ricerche online per somministrarle del topicida, sciogliendolo nelle bevande. Secondo i giudici quello era un modo per farla abortire e non per ucciderla, come poi fece a maggio del 2023 con 37 coltellate.
Per i giudici della Corte d’Assise d’Appello Impagnatiello mostrò la sua ‘furia rabbiosa’ nel momento in cui fu scoperto dalle due donne con le quali aveva relazioni parallele e alle quali mentiva in continuazione. La Corte d'Assise d'appello di Milano ha spiegato nelle motivazioni depositate perché ha deciso di confermare l’ergastolo per Impagnatiello - l'ex barman che ammazzò con 37 coltellate la fidanzata incinta di sette mesi facendo ritrovare il corpo dopo 4 giorni - ma con l'esclusione dell'aggravante della premeditazione nell'omicidio.
"Vergogna, vergogna. La chiamano legge ma si legge disgusto", aveva scritto Chiara, la sorella di Giulia, aggiungendo: "L'ha avvelenata per sei mesi. Ha cercato su internet 'quanto veleno serve per uccidere una donna'. Poi l'ha uccisa. Per lo Stato, supremo legislatore, non è premeditazione".
Per i giudici non vi sono le prove della premeditazione
Per la Corte (giudici togati Caputo e Anelli), però, "non vi sono" prove che "consentano di retrodatare il proposito" del 32enne di uccidere la fidanzata di 29 anni "rispetto al giorno" in cui l'ha accoltellata nella loro casa a Senago, nel Milanese.Potrebbe interessarti
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Averle fatto ingerire veleno per topi nei mesi precedenti, avrebbe avuto lo scopo di causare un aborto spontaneo e dare "una drastica 'soluzione'", scrivono i giudici, al figlio che la donna aspettava e che lui "identificava come 'il problema' per la sua carriera, per la sua vita".
Lo scopo dell'avvelenamento era "l'aborto del feto" e non "l'omicidio (...) della madre". Nelle 59 pagine di motivazioni, con passaggi molto tecnico-giuridici, pur confermando le altre due aggravanti della crudeltà (undici coltellate quando era ancora in vita, consapevole che stava morendo anche il figlio Thiago) e del vincolo della convivenza, la Corte chiarisce che non vi è stata una "deliberazione criminosa coltivata nel tempo e mai abbandonata fino a raggiungere il proposito" maturato "solo alle 15 del 27 maggio", poche ore prima del delitto.
Quel pomeriggio il barman aveva compreso che sarebbe stato "smascherato" da Giulia e dall'altra ragazza con cui aveva una relazione, perché le due si erano incontrate nello stesso giorno e si erano scambiate confidenze. Non appena saputo che la compagna stava "piombando" all'Armani Hotel di Milano, dove lui era in servizio, alle 17 aveva lasciato il posto di lavoro ed era rientrato in motorino a casa.
E verso le 19, quando Giulia "metteva piede nell'appartamento dove era attesa, veniva assalita e uccisa" con 37 fendenti. Si tratta di un "intervallo temporale troppo breve per soddisfare il requisito cronologico" richiesto per contestare la premeditazione e le "azioni 'neutre", come il rincasare e aspettare la compagna, "non riescono a disegnare alcun agguato, significativo" per ritenere sussistente l'aggravante.
Per la Corte Impagnatiello ha ucciso la fidanzata "non già perché lei voleva lasciarlo, non già perché gli stava dando un figlio che, in fondo, non desiderava affatto, e neppure perché paventava un futuro di carte bollate, controversie giudiziarie per obblighi di mantenimento e affido congiunto", ma "perché lei (...) lo aveva sbugiardato dinnanzi a coloro che, ai suoi occhi, rappresentavano la proiezione 'pubblica' di sé, la facciata ostensibile, infiggendogli quella che era per lui intollerabile umiliazione" su quel "palcoscenico", che era il bar di quell'albergo di lusso in pieno centro a Milano.
La Procura generale potrebbe ricorrere in Cassazione sulla premeditazione, che era stata contestata dall’aggiunta Mannella e dalla pm Menegazzo nel corso delle indagini. La difesa dell’imputato valuterà se fare ricorso in cassazione per chiedere la cancellazione per la ‘crudeltà’ e il riconoscimento di attenuanti.






Commenti (1)
L’argomento di questo articolo è molto complesso e difficile da digerire. La sentenza della Corte sembra giustificare un’azione cosi grave, ma si capisce poco come si possa pensare che non ci sia stata premeditazione in un caso cosi tragico.