Dramma a Roseto degli Abruzzi
Roseto degli Abruzzi – Un ragazzo di 27 anni è stato trovato senza vita nella sua stanza a Roseto degli Abruzzi, nel Teramano. Era seduto davanti al computer ancora acceso, con indosso una maschera antigas collegata a un liquido refrigerante.
A scoprire il corpo di Leonardo Di Loreto, web designer ed esperto di informatica, sono stati i vigili del fuoco, allertati dai genitori che non avevano sue notizie. Sul posto anche i sanitari del 118, che non hanno potuto fare altro che constatarne il decesso.
Non ci sono segni di violenza, e l’ipotesi più probabile resta quella del gesto volontario. Ma gli inquirenti non escludono che possa trattarsi dell’ennesima “sfida social” finita in tragedia.
Computer, cellulare, maschera e bomboletta sono stati sequestrati: sarà l’analisi degli hard disk e dei dispositivi elettronici a chiarire se il giovane stesse partecipando a una di quelle prove estreme che circolano sul web.
La Procura di Teramo ha disposto l’autopsia per stabilire con certezza le cause della morte. Nel frattempo, il caso resta avvolto dal mistero.
Quello che è accaduto a Roseto degli Abruzzi non è un caso isolato. Negli ultimi anni il fenomeno delle “challenge” diffuse sui social si è trasformato in una piaga: prove estreme, spesso autolesioniste, che spingono i giovani a superare limiti sempre più pericolosi.
La memoria va alla “Blackout challenge”, la sfida che consisteva nello stringersi una cintura attorno al collo per resistere più a lungo possibile senza respirare: nel 2021 fu fatale a una bambina di 10 anni a Palermo.
Più di recente, un 27enne irlandese è rimasto gravemente ferito nel Bresciano dopo essersi lanciato contro auto in corsa in un macabro gioco online. E appena poche settimane fa due adolescenti sono stati denunciati per aver filmato e condiviso il loro “train surfing” sul tetto di un treno ad alta velocità.
Dietro queste sfide non c’è soltanto il gusto del rischio, ma un meccanismo perverso che unisce esibizionismo ed emulazione. Il bisogno di apparire, di collezionare visualizzazioni e “like”, spinge i giovani a sfidare la sorte. Ciò che una volta era la bravata di quartiere oggi diventa un contenuto virale, capace di trasformarsi in trappola mortale.
E la velocità con cui i social diffondono questi comportamenti estremi amplifica il rischio: ciò che ieri era il gesto isolato di un ragazzo, oggi diventa una moda a catena, imitata da migliaia di adolescenti e giovani adulti in tutto il mondo.
Il dramma del giovane di Roseto, come altri prima di lui, non è solo una tragedia privata ma un campanello d’allarme collettivo. Serve consapevolezza, serve educazione digitale, serve un’azione culturale che riporti i giovani a distinguere il confine tra realtà e spettacolo, tra coraggio e incoscienza.
Il web, che potrebbe essere strumento di conoscenza e opportunità, rischia di trasformarsi in una gabbia in cui i like valgono più della vita stessa. E finché le sfide social continueranno a mietere vittime, resterà irrisolta la domanda più inquietante: quante altre tragedie serviranno prima che si apra una riflessione seria sul rapporto tra giovani, tecnologia e responsabilità collettiva?
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