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Napoli, “Non si è ucciso”, la famiglia Paciolla contro archiviazione

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Napoli –  “Mario è stato ucciso, l’indagine dei pm di Roma non va archiviata. Noi vogliamo verità e giustizia per nostro figlio”.

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I genitori di Mario Paciolla, il cooperante trovato privo di vita in Colombia nel 2020 dove si trovava per le Nazioni Unite, non si arrendono e lanciano un appello al tribunale capitolino per chiedere che non venga posta la parola fine all’attività degli inquirenti sulle ultime ore di vita del 33enne che venne trovato impiccato nella casa dove viveva a San Vincente del Caguan.

“Noi non abbiamo mai creduto che Mario si sia suicidato, lui amava la vita”, affermano Anna e Pino Paciolla nel giorno in cui il gip di piazzale Clodio si è riservato sulla nuova, la seconda, richiesta di archiviazione avanzata dal procuratore aggiunto Lucia Lotti.

“Ci sono tanti elementi, anche scientifici, che ci dicono che Mario è stato ucciso”, aggiungono i familiari di Paciolla ricordando che, poche ore prima che venisse ritrovato il corpo, il cooperante aveva comprato un biglietto aereo per rientrare in Italia, per tornare nella sua abitazione a Napoli.

“Lui amava gli altri: noi da cinque anni cerchiamo risposte – aggiungono il padre e la madre del cooperante che hanno preso parte ad un sit-in fuori la cittadella giudiziaria al quale hanno partecipato anche Articolo 21, Fnsi e Amnesty -. Il nostro è un percorso di verità e giustizia, lo facciamo per lui”.

Nel corso dell’udienza il loro legale, l’avvocato Alessandra Ballerini, ha illustrato le ragioni per chiedere che l’indagine venga portata avanti. “Abbiamo evidenziato tutti i dubbi e le incongruenze che secondo noi portano verso una ricostruzione di un omicidio e non di un suicidio – ha dichiarato la penalista -.

Ci sono anche dati scientifici e nella ricostruzione della polizia giudiziaria restano molti elementi di dubbio”. Per Ballerini, “gli elementi che ci fanno propendere per l’omicidio sono moltissimi: dalla perizia medico-legale alle tracce ematiche. Ricordiamo che in questa vicenda mancano molti elementi perché la sicurezza dell’Onu aveva provveduto a ripulire la scena del crimine, anche con la candeggina. Molte prove sono state fatte sparire e quindi moltissime cose non le sapremo mai”.

L’indagine su quanto avvenuto in Colombia, come spesso accade per gli episodi che riguardano cittadini italiani morti all’estero, è stata da subito complessa per i limiti legati all’azione inquirente. Le autorità locali, dopo il rinvenimento del corpo del giovane, parlarono di suicidio.

Una versione a cui però familiari si sono sempre opposti chiedendo ai pm romani di fare tutto il possibile per arrivare ad una verità incontrovertibile sulla drammatica fine del trentenne. Paciolla fu trovato impiccato al soffitto con un lenzuolo, in uno scenario apparente di suicidio.

A San Vicente del Caguan quel giorno intervennero due funzionari colombiani dell’Onu, il responsabile locale della sicurezza ed ex membro dell’esercito Christian Thompson, ed il suo capo, Juan Vasquez.

Entrati nell’abitazione i due si preoccuparono, per ragioni mai chiarite, di prelevare in tutta fretta oggetti appartenuti a Paciolla e di ripulire la stanza, lavando con candeggina il pavimento. Inoltre i due prelevarono un materasso e alcuni utensili, macchiati di sangue, gettandoli in una discarica.

Le tre inchieste aperte – in Colombia e in Italia e una interna all’Onu – non sono state sufficienti però a fugare i dubbi su quanto avvenuto. La parola passa ora al gip di Roma che nelle prossime settimane scioglierà la riserva.


Articolo pubblicato il giorno 19 Marzo 2025 - 20:43

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