IL LUTTO

E’ morto Alberto Ginulfi, il portiere che parò un rigore a Pelè

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A Pelè parò un rigore, con Maradona convisse qualche tempo da tecnico al Napoli, ebbe come avversari Rivera e Mazzola, Riva e Sivori, fu tra gli anni ’60 e ’70 portiere nella Roma, con cui vinse due Coppe Italia e una Coppa anglo-italiana, ma giocò anche nel Verona e nella Fiorentina. E’ stata una vita calcistica da protagonista trascorsa tra i più grandi campioni quella di Alberto Ginulfi, morto oggi nella sua amata capitale, dove era nato nel 1941 nel quartiere di San Lorenzo.

Presenza fissa, con fiero cipiglio, tra le figurine Panini, quando ancora si attaccavano con la coccoina, Ginulfi aveva un album personale di ricordi difficilmente paragonabile, anche se la sua fama è legata soprattutto a quel memorabile evento del 3 marzo 1972 all’Olimpico quando, in un’amichevole tra la Roma e il Santos, parò un rigore a O Rei.

“Di quel giorno ricordo soprattutto il riconoscimento che mi fece dopo – ha ricordato Ginulfi all’indomani della scomparsa del fuoriclasse brasiliano -. Mi ha lasciato la maglia e a fine partita mi ha invitato all’ambasciata brasiliana di Piazza Navona, per il giorno dopo. Pelè era un mito per me”. Quella maglia è stato uno dei cimeli più importanti per il portiere giallorosso, che ne parlava quasi con affetto: “Era di quelle vere, non come quelle di adesso. Maniche lunghe, scudetto ricamato e numeri attaccati con il filo”.

La teneva nascosta, resistendo a ogni richiesta di prestito e acquisto. Ma non fu quello l’unico incrocio tra la Pantera nera e Ginulfi, che ha un ricordo ancora più caro risalente a due o tre anni prima: in un’altra amichevole col Santos al Flaminio, venne schierato in porta solo nel secondo tempo – allora non era ancora titolare – esibendosi in parate incredibili. Un procuratore gli riferì che Pelè lo aveva molto elogiato e suggerito anche di ingaggiarlo.

“Quello fu gratificante, più del rigore”. Da un asso all’altro, quando lascò il calcio giocato, al termine della stagione 1977, Ginulfi divenne allenatore dei portieri e lavorò al Napoli ai tempi di Diego Armando Maradona, di Ottavio Bianchi e poi di Bigon. Certo, come amava raccontare, il Pibe non aveva bisogno di essere allenato ma si divertiva con lui a calciare le punizioni.

“E’ stato il più grande di tutti – ha certificato -. Ce l’ho scritto pure a casa su una foto sua con dedica”. La fotografia e una maglia, custodita religiosamente insieme a quella del campione del Santos. La Roma e i suoi tifosi, ma anche il Verona e la Fiorentina, hanno espresso sui social il loro cordoglio per la scomparsa di quello definito da qualcuno il portiere della Roma “più romano e romanista di sempre”.



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