Più soldi a prof del nord? C’è anche il no delle Regioni Valditara, classi da 10 e stipendi più alti contro dispersione

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Ragionare con sindacati e Regioni sul costo della vita più alto al nord e trovare le soluzioni insieme per favorire, in termini di migliori guadagni, il personale scolastico, che proprio in quei territori scarseggia.

Questo l’intento del ministro dell’Istruzione, Giuseppe Valditara, come ha chiarito lui stesso ma gli esponenti degli enti locali con cui dovrebbe dialogare – soprattutto al Sud ma non solo – e praticamente tutti i sindacati – tranne Anp – sono fortemente contrari alla sua proposta. Con loro si schiera anche parte del mondo cattolico.

Per il governatore della Campania, Vicenzo De Luca, la proposta differenziazione di stipendi “vuol dire di accentuare elementi di separazione del Paese, il divario tra Nord e Sud e abbandonare ogni politica meridionalistica. Sappiamo che a Milano – sottolinea De Luca – il costo della vita è maggiore che a Napoli, ma sappiamo anche che a Milano in famiglia lavorano tutti mentre nel Sud se lavora uno della famiglia è già un miracolo.



    Il tasso di occupazione del Paese nel Nord sfiora il 70% e nel Sud è al 40% e che la disoccupazione giovanile è doppia rispetto al nord. Quindi è fuorviante ragionare sul costo della vita”. Sulla stessa linea anche il sindaco di Napoli, Gaetano Manfredi.

    “Se si stabilisce che chi lavora al nord, sia esso un insegnante come un medico, guadagna di più, si crea un incentivo alla migrazione ed è quello che non serve all’Italia il cui problema è invece ridurre i divari”, osserva il primo cittadino. Ma anche per il governatore dell’Emilia Romagna, Stefano Bonaccini, candidato alla corsa della segreteria del Pd, “gli insegnanti e gli operatori della scuola vanno pagati tutti di più, come succede negli altri Paesi europei, altro che stipendi differenziati per i docenti”.

    Il candidato alle regionali per il centrosinistra nel Lazio, Alessio D’Amato si dice “totalmente contrario al ripristino di gabbie salariali; semmai tema è di una crescita complessiva del sistema e non creare scuole di serie A e B”. “L’idea di tornare a differenziazioni stipendiali fra lavoratori del nord e del sud è vecchia e superata: invece di pensare a differenziare gli stipendi, il governo dovrebbe occuparsi di colmare le distanze in termini di servizi, collegamenti e opportunità fra le regioni”, è il parere anche dell’assessora alla Scuola di Roma Capitale, Claudia Pratelli. Bordate arrivano da una parte del mondo cattolico.

    “La scuola pubblica – attaccano le Acli, le Associazioni cristiane dei lavoratori – va riorganizzare e rilanciata, non tagliata. Queste dichiarazioni paiono più figlie di una campagna elettorale che sarebbe ora di mettersi alle spalle e di una cultura che non si rende conto che le differenze territoriali, anche economiche, sono sempre più distanze che stanno ingrossando una successione silenziosa, che frammentano l’unità nazionale”.

    A difendere il ministro è invece il quotidiano Avvenire. Anche tutto il mondo dei sindacati, tranne i presidi, ma solo quelli di Anp, è fortemente contrario a proposte di differenziazioni sindacali. L’unitarietà nazionale del sistema istruzione e ricerca – dicono in coro – non deve essere messa in discussione e, conseguentemente, il contratto collettivo è e deve rimanere nazionale.

    Intanto il ministro ragiona anche sul problema della dispersione scolastica di cui l’Italia ha purtroppo il più alto tasso in Ue: l’intenzione è avviare una sperimentazione con 150 scuole fra le più ‘critiche’, formando classi da 10 studenti e insegnanti formati appositamente e meglio pagati. In legge di bilancio sono stati inseriti 150 milioni che verranno utilizzati per valorizzare gli insegnanti impiegati in attività di orientamento e di contrasto alla dispersione.


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