Inchino della Madonna al boss, anche un ex sindaco indagato

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“Rimaniamo tutti, me in testa, affianco, con atti e fatti, a don Ferdinando Russo per la difesa di quei valori che vorremmo condivisi da tutta la nostra comunità: noi con lui in ogni caso”.

Così si chiudeva il comunicato pubblicato l’11 giugno 2016 dall’ex sindaco di San Paolo Belsito, Manolo Cafarelli dopo l’inchino, il 5 giugno 2016, della Beata Vergine del Rosario davanti alla casa del boss Agostino Sangermano.

Due pagine nelle quali l’ex primo cittadino prendeva una posizione netta contro la camorra e a favore della decisione del parroco, don Ferdinando Russo, di abbandonare la processione dopo quel gesto di sottomissione.



    Cafarelli, però, risulta nell’elenco delle 35 persone indagate dalla Direzione Distrettuale Antimafia che gli contesta il concorso esterno in associazione mafiosa: secondo gli inquirenti Cafarelli, dal 2010, avrebbe fornito “un efficiente, cosciente e volontario contributo funzionale al perseguimento degli scopi associativi, idoneo a garantire il rafforzamento, la conservazione e l’operatività del clan”.

    Per questo gli inquirenti hanno chiesto una misura cautelare però non accordata dal giudice. Il contributo al clan, secondo la DDA di Napoli, si concretizzava con l’assegnazione di commesse, anche edilizie, pubbliche e private agli imprenditori ritenuti legati al clan; impegnandosi per far assumere gli affiliati e consentendo le ingerenze del clan nelle scelte, anche di natura politica, del Comune, come l’assegnazione degli incarichi nella Giunta.

    In un’occasione l’ex sindaco, per conto del boss Agostino Sangermano, rimproverò un componente della Consiglio comunale ritenuto affiliato al clan Giugliano (legato al più noto clan Cava attivo nel Nolano) per vicende legate al traffico di droga nell’ambito di un contrasto che vedeva contrapposti la cosca di San Paolo Bel Sito (i Sangermano) con i Giugliano.

    Cafarrelli prese anche parte a una riunione, il 9 giugno 2016, con il vescovo dell’epoca Beniamino De Palma durante la quale rese noto, tra l’altro, che la statua della Madonna veniva “vestita di oro” dalla famiglia Sangermano e, infatti, il capoclan possiede parte dei monili che vengono usati per gli addobbi della Vergine.



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