Il Vescovo agli assassini di Simone: ‘Pentitevi, cambiate vita’

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“Pentitevi, ma pentitevi seriamente”: Si è idealmente rivolto direttamente “a voi giovani assassini” il vescovo di Acerra, monsignor Antonio Di Donna, nella sua omelia pronunciata ai funerali di Simone Frascogna, il 19enne ucciso da tre giovani la sera del 3 novembre a Casalnuovo  per banali motivi di viabilità.

 

Monsignor Di Donna ha rimarcato il voler definire i tre giovani arrestati, rei confessi, “assassini”, perché, ha spiegato, “non mi piace definire quello che è successo un atto di bullismo. Non siete dei bulli, questo non è bullismo: è omicidio, è assassinio. Voi avete commesso non solo un reato secondo la legge, voi avete commesso un peccato gravissimo contro Dio che ci ha dato un comandamento chiaro: tu non uccidere, mai devi uccidere, perché la vita è sacra, appartiene a lui, solo a lui e a nessuno è lecito toglierla”.

“Io chiederò giustizia per Simone, io non perdono”. Lo ha detto la madre di Simone Frascogna. Al termine della funzione, la donna si è avvicinata al microfono accolta dai presenti con un commosso applauso: “Io sono la mamma di Simone – ha detto – voi siete Simone. Io chiederò giustizia per Simone, voi chiederete giustizia per Simone. Io non perdono”



    “Un giorno Dio vi chiederà conto del sangue di Simone, del sangue innocente che da Abele fino alla fine del mondo sarà versato. Pentitevi – ha proseguito il vescovo di Acerra – ma pentitevi seriamente, cambiate vita, riconoscete che siete stati dei vigliacchi. Simone da solo, voi in tre. Lui a mani nude, forte solo delle sue arti marziali, voi invece armati di coltello. Lui con la forza della ragione e delle mani, voi con la ragione della forza e della violenza. E’ uno scontro impari, è stato uno scontro sleale. Dov’è la forza, in questo, avete vinto voi? Chi è stato il più forte in questo scontro? Non voi, è stato Simone. Lui è il leone, lui ha vinto, non voi”.

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    Poi Monsignor Di Donna ha polemizzato anche per il ritardo dei soccorsi:  “Non è possibile morire così quando si ha ancora la vita davanti, non è possibile accettare che i suoi sogni siano stroncati in questo modo. Però non è neppure possibile accettare che un’ambulanza arrivi dopo mezz’ora. Purtroppo – ha proseguito il vescovo – in questo tempo di emergenza sanitaria comprendiamo che possa succedere anche questo, ma intanto non è ammissibile. E non è possibile che quelli che hanno assistito a questo fatto drammatico siano stati lì muti e immobili, non hanno visto, non hanno fatto niente, anzi addirittura qualcuno riprende anche la scena con il telefonino, stupida consuetudine che si sta diffondendo sempre di più.

    Non è possibile che nelle nostre città manchino garanzie minime di sicurezza e di controllo del territorio, anche se dobbiamo dire che quando manca il senso civico e un minimo senso di responsabilità individuale nessuna forma di controllo sarebbe sufficiente. Ci vorrebbe un poliziotto per ogni cittadino, e questo non è possibile”.

    Secondo monsignor Di Donna “il problema è che oggi c’è l’assenza di anticorpi, di antidoti a questo veleno, di contromisure. Un tempo c’erano i dettami dell’educazione familiare, gli insegnamenti della scuola, anche le dottrine della religione, l’autorevolezza degli anziani, la fiducia nelle leggi, la paura del castigo, la paura della disapprovazione sociale. Questi anticorpi non ci sono più, ora c’è il deserto. Ecco perché nel nostro paese, l’Italia, le radici della violenza si nutrono anche di un individualismo selvaggio, privo di limiti e di regole, si nutre di un montante deficit di responsabilità, di senso civico, di rispetto dell’altro. Siamo ubriachi di libertà e ubriachi di libertà abbiamo scordato quali siano i confini del diritto, del dovere e della dignità umana”.


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