Il carabiniere Montella: ‘Tengo tutti sotto di me…’, ma davanti al gip dice: ‘Sbagli di vanità’

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Non c’era lui al vertice della piramide. Anzi non c’era proprio “una regia” dietro gli arresti. E non e’ lui l’uomo nero della storia, tanto che i cronisti dovrebbero essere “piu’ cauti e sobri” nello scrivere, evitando “i racconti alla Scarface”.

 

E pero’ qualcosa di vero ci deve essere nelle accuse: “si puo’ sbagliare, si possono fare errori per ingenuita’, vanita’, per tante cose”. In tre ore davanti al Gip, Giuseppe Montella si e’ difeso ma non ha potuto negare l’innegabile, documentato in decine di intercettazioni in cui lo spazio per le interpretazioni della sua stessa voce e’ praticamente nullo. E fa le prime ammissioni. L’appuntato dei carabinieri arrestato mercoledi’ con altri 6 colleghi e considerato dai pm di Piacenza il capo del sistema criminale messo in piedi nella caserma Levante, ha parlato per 3 ore nel carcere delle Novate.

Una “volonta’ di spiegare una situazione complessa. Ci saranno ulteriori riscontri ma e’ stato collaborativo al 100%” ha detto il suo avvocato, Emanuele Solari, nel 2017 candidato a sindaco della citta’ con Forza Nuova, definendo Montella “molto provato”. Ancora piu’ diretto l’altro legale, Giuseppe Dametti: “c’e’ stata una collaborazione completa, chiarificatrice, esplicita e senza esitazioni”.



    Quanto sia andato a fondo Montella, uno che per i pm si sentiva “svincolato da qualsiasi regola morale e giuridica”, quanto abbia spiegato tutti quegli arresti da gennaio in poi tacendo che venivano promossi dai suoi “galoppini”, senza accertamenti sul territorio e “macchiati da violenze e percosse”, lo si capira’ nei prossimi giorni e nelle prossime settimane. Soprattutto per quanto riguarda la catena di comando visto che, dicono gli avvocati, anche questa questione – e dunque quali e quanti superiori nella scala gerarchica sapevano del modus operandi in voga nella caserma Levante – “e’ stata chiarita”.

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    “E’ lecito domandarsi come sia stato possibile che per anni nessuno si sia posto dei dubbi, ad esempio sul tenore di vita dell’appuntato Montella, palesemente superiore alle condizioni economiche di un appartenente alle forze dell’ordine del suo grado. Grave che per anni nessuno, per vicinanza o per grado gerarchico, abbia voluto controllare le fonti delle sue disponibilita’ economiche o le modalita’ con cui lo stesso conseguiva i cosidetti ‘risultati operativi’. Si badi, Montella e’ un delinquente, nel senso etimologico e giuridico del termine”.

    Nelle carte dei pm che fotografano le attivita’ di spaccio, i pestaggi, gli arresti pilotati e le ‘scorribande’ dei carabinieri ‘infedeli’ della caserma Levante di Piacenza, l’appuntato Giuseppe Montella risalta indubbiamente come una figura apicale all’interno del gruppo. Lo scorso gennaio, davanti agli investigatori, il giovane pusher marocchino che passava le informazioni all’appuntato napoletano riassumeva cosi’ il suo rapporto con lui: “Principalmente parlavo con Montella, il quale mi diceva che comunque tutti gli altri carabinieri della stazione erano ‘sotto la sua cappella’, compreso il comandante Orlando… alcune volte ho parlato anche con Falanga”.

    Il ragazzo e’ l’autore degli audiomessaggi inviati al maggiore Rocco Papaleo e fatti poi ascoltare da quest’ultimo alla polizia locale di Piacenza. In cambio delle ‘soffiate’ per eseguire gli arresti, lo spacciatore veniva poi pagato da Montella con parte della droga sequestrata (oppure in denaro).

    “Non l’ho piu’ visto da quando mi aveva picchiato in caserma – racconta a verbale lo spacciatore – mentre mi ha mandato un messaggio su Facebook dove mi diceva di smetterla di dire cose sul suo conto perche’ mi conveniva”. Nelle dichiarazioni rese a verbale, “peculiare e’ la frase del maggiore – scrivono i pm – quale chiusa delle condotte poste in essere dai colleghi, ‘fanno quello che si pensava facessi io'”. Anche il comportamento di Papaleo, ora comandante a Cremona ma fino al 2013 alla guida del nucleo investigativo, presenta alcune ambiguita’.

    Intercettato al telefono dopo aver fatto partire l’inchiesta, parla spesso di droga con una ballerina, che le racconta addirittura come una volta, durante una retata, e’ rimasta “seppellita due ore in una buca” perche’ aveva con se’ 30 grammi di stupefacente. Con il maggiore Stefano Bezzecchieri, oramai ex comandante della compagnia di Piacenza, sottoposto all’obbligo di dimora, Montella ha un rapporto privilegiato, che scavalca il suo diretto superiore, Marco Orlando, finito ai domiciliari.

    “Io voglio parlare direttamente con voi, poi Orlando lo metto a posto io – dice Bezzecchieri – cosi’ come l’anno scorso io ho disposto, dicevo: ‘Alla Levante non gli dovete rompere i coglioni coi servizi, ordine pubblico, scorte’ perche’ dovevate fare un certo tipo di lavoro”. Montella, in effetti, si sente invincibile e dopo un sequestro di due buste di marijuana, fatto insieme ai colleghi arrestati Giacomo Falanga e Salvatore Cappellano, dice: “Una busta deve sparire… bel colpo!… le cose solo noi tre ce le dobbiamo fare!”.

    E ha parlato anche Giacomo Falanga, anche se la sua ricostruzione sembra fare acqua da tutte le parti. La foto in cui sorride con una mazzetta di denaro in mano assieme a Montella e a due spacciatori? “Non ha nulla a che vedere con Gomorra – dice il suo avvocato Daniele Mancini – e’ del 2016, era su Facebook con tanto di commenti ed e’ il frutto della vincita al Gratta e vinci”.

    E il nigeriano pestato?, quello che si vede nella foto che accompagna l’intercettazione in cui proprio Falanga racconta che i suoi due colleghi Montella e Cappellano devono fare “il poliziotto buono e il poliziotto cattivo”? “Non si puo’ condannare una persona per una battuta, le cose vanno contestualizzate”. E come? “Il nigeriano non e’ stato picchiato in sua presenza, e’ stata una spacconata di Montella, in realta’ e’ caduto durante l’inseguimento”. Sara’. Ma le parole dello stesso Montella sembrerebbero inequivocabili.

    “Quando ho visto tutto quel sangue per terra ho detto boh, lo abbiamo ammazzato”. E poco dopo, al telefono con la compagna Maria Luisa Cattaneo, “l’abbiamo massacrato quello che e’ scappato”. Chi non ha aperto bocca, invece, e’ Salvatore Cappellano. Quello che secondo gli inquirenti e gli investigatori sarebbe l’autore materiale delle botte e delle torture e quello che la procura definisce “l’elemento piu’ violento della banda dei criminali” che per anni ha imperversato nella caserma Levante. Senza che nessuno se ne accorgesse. Forse.

    “Cio’ che proprio non si riesce ad accettare – scrivono infatti i pm – ed ancora prima a comprendere, e’ come sia stato possibile che detto sistema delinquenziale si sia protratto per anni”. Dovranno spiegarlo il comandante della stazione, il maresciallo Marco Orlando, che sara’ interrogato lunedi’, il comandante della compagnia maggiore Stefano Bezzeccheri. E molto probabilmente anche qualcun altro. A partire dell’ex comandante provinciale Piras ora al ministero delle infrastrutture e il suo successore, il colonnello Savo avvicendato ieri che in una telefonata con Orlando sembra chiedere conto di quanto accadeva. “Quindi era costruita?” chiede al maresciallo riferendosi ad un’operazione avvenuta la sera prima. E lui che spiega: “no proprio costruita no, ci stavamo lavorando…”


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