Delitto Macchi, sentenza ribaltata

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La Corte d’Assise d’Appello di Milano ha ribaltato la sentenza di primo grado e ha cancellato l’ergastolo inflitto a Varese a Stefano Binda, il 51enne imputato per il delitto di Lidia Macchi, la giovane uccisa a Cittiglio, nel Varesotto, nel gennaio 1987. L’uomo, arrestato il 15 gennaio 2016, dopo circa tre anni e mezzo di carcere esce di cella. A oltre trent’anni dal delitto, rimane senza un nome e un volto l’assassino della ventunenne, stuprata e poi massacrata con 29 coltellate in un bosco in una notte in pieno inverno. “Credo che servisse un minimo di approfondimento in piu’. Forse e’ stata una sentenza affrettata”, ha commentato Stefania, la sorella della giovane vittima. Scontato il ricorso del suo legale, l’avvocato Daniele Pizzi. I giudici di secondo grado dopo circa tre ore di camera di consiglio hanno cosi’ respinto la richiesta del sostituto pg Gemma Gualdi, che aveva proposto la conferma del verdetto di primo grado dei loro colleghi di Varese e hanno creduto a colui che era stato accusato di essere il killer. “Non ho ucciso io Lidia Macchi, sono innocente, estraneo a tutta la vicenda”, ha detto questa mattina rendendo dichiarazioni spontanee Binda, ex compagno di liceo di Lidia e come lei militante di Comunione e Liberazione. “In quel periodo – ha aggiunto – ero a Pragelato (una localita’ delle Alpi piemontesi, ndr) e non ho mai scritto la lettera”, contenente il componimento ‘In morte di un’amica’, consegnato via posta il giorno del funerale alla famiglia della vittima. Lettera che, secondo la ricostruzione dell’accusa, fu invece scritta da Binda e che e’ stata considerata la prova regina contro di lui. “Il poeta anonimo – ha detto nella requisitoria Gualdi – e’ certamente Stefano Binda, che ha scritto quella lettera perche’ ha vissuto i fatti descritti”, vale a dire l’assassinio della 21enne. E ancora, per Gualdi, il componimento e’ stato vergato su un foglio che “proviene da un quaderno sequestrato a casa sua, fatto quest’ultimo ammesso dallo stesso imputato”, mentre e’ “inutilizzabile” la testimonianza resa la scorsa udienza dal penalista bresciano Piergiorgio Vittorini, che ha raccontato che nel 2017 un suo cliente, di cui non ha voluto rivelare l’identita’, gli avrebbe detto di essere l’autore della missiva. Il sostituto pg ha sostenuto che il presunto killer avrebbe incontrato Lidia la sera del 5 gennaio 1987: Binda sarebbe salito in macchina con la ragazza e insieme avrebbero raggiunto il campo, non molto distante dall’ospedale dove Lidia fu ritrovata senza vita. Come ha ricostruito Gualdi, l’imputato l’avrebbe stuprata prima di ucciderla. Secondo la difesa, a scagionare Binda ci sarebbero 5 formazioni pilifere ritrovate sui resti di Lidia dopo la riesumazione del cadavere, disposta nel marzo 2016 per nuovi accertamenti. “Quei capelli – ha ricordato Sergio Martelli, il difensore di Binda insieme a Patrizia Esposito – non hanno il dna del nostro assistito”. Inoltre, ha aggiunto il legale, “vorremmo che questa immagine del nostro assistito come di un pazzo con la doppia personalita’ venisse cancellata”. Oggi l’assoluzione e la scarcerazione. Entro 90 giorni le motivazioni.


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