Cronaca Nera

Estorsioni alle imprese casertane: presi due esattori del racket del clan Di Tella

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I carabinieri del reparto territoriale di Aversa hanno eseguito un provvedimento nei confronti di due soggetti appartenenti al clan dei Casalesi – gruppo Di Tella, nell’ambito di attività coordinata dalla Procura della Repubblica-Direzione Distrettuale Antimafia di Napoli. Le investigazioni, condotte con metodologie tradizionali a seguito delle dichiarazioni rese da parte delle persone offese alla polizia giudiziaria operante, hanno permesso di acquisire gravi elementi indiziari a carico degli indagati, ritenuti dal Gip in sede cautelare responsabili di un tentativo di estorsione, commesso nello scorso mese di novembre, ai danni dei titolari di un’impresa edile con un cantiere attivo nel territorio del comune di Teverola. I due uomini sono Antonio Barbato, nato a Caserta nel 1976, destinatario di ordinanza impositiva della custodia in carcere, e Carmine Lucca, nato ad Aversa nel 1970, destinatario di ordinanza impositiva del divieto di dimora nelle province di Caserta, Napoli e Latina.Nell’ordinanza cautelare il reato è stato ravvisato nella forma aggravata dal metodo mafioso, consistente nell’intimazione di ‘mettersi a posto’, rivolta dai due agli imprenditori estorti. Barbato è una persona nota a Teverola e zone limitrofe per i suoi trascorsi criminali, in quanto è stato già condannato due volte nel 2010 e 2015 con sentenze divenute irrevocabili per gravi reati estorsivi, commessi anche con l’uso di armi, nonché per partecipazione all’associazione di tipo mafioso del clan dei Casalesi, gruppo Di Tella, tradizionalmente vicino alla fazione Schiavone del clan camorristico. Il 42enne, per effetto delle due sentenze citate, ha espiato una pena complessiva di sette anni e sei mesi di reclusione, poiché gli veniva riconosciuto il regime della continuazione tra tutti i reati contestati, per cui veniva liberato il 14 aprile del corrente anno. Ebbene, come già era accaduto all’atto di una sua precedente scarcerazione nel 2013, l’indagato, pochi mesi dopo essere tornato libero, riprendeva le condotte delittuose.

Gustavo Gentile


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