L’Ala non vola più: verdiniani “sedotti e abbandonati” da Renzi

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L’ Ala non vola più: verdiniani “sedotti e abbandonati” da Renzi. Da stampella del governo a indesiderati, da compagni di viaggio a zavorra. O, se preferite, parafrasando dal titolo di un celebre film: “sedotti e abbandonati”. E’ quanto il destino, triste e amaro, ha riservato in dote al gruppo parlamentare dei Verdiniani, l’agguerrita pattuglia di senatori capitanata dall’ex plenipotenziario del Cavaliere, lasciata letteralmente a piedi in questa tornata elettorale e consegnata, brutalmente, al ruolo di mera spettatrice mentre tutto intorno infuria la battaglia per accaparrarsi un seggio in Parlamento. Tutta colpa del buon Matteo Renzi, asseriscono i soliti beninformati. Sì, proprio lui. Perché a voler dare retta alle solite “voci di dentro”, svestiti (da un pezzo!) i panni del “picconatore”, il leader del Pd avrebbe pensato bene di indossare quelli del “cacciatore” tirando una bella schioppettata sull’Ala (Alleanza LiberalPopolare Autonomie) volante del vecchio Denis, dopo averla utilizzata, nell’ultimo scorcio di legislatura, per puntellare una maggioranza – la sua – messa sempre più alle corde dai ricorrenti mal di pancia dei bersaniani. Alla faccia dell’ingratitudine! sbotta qualcuno nei corridoi ormai semi-deserti di Palazzo Giustiniani (dove ancora ha sede ciò che resta del gruppo Ala). Cosa ne sarebbe stato della legge sulle “Unioni Civili” senza l’apporto salvifico dei verdiniani e quante volte l’esecutivo sarebbe finito sotto se non fosse accorso in suo aiuto la schiera soccorritrice di Denis?
Un apparentamento. Non cercavano altro i verdiniani. Entrare a far parte della coalizione di centrosinistra dopo averla sostenuta tante e tante volte in Parlamento, contro tutto e contro tutti. Farne semplicemente parte, così come la squadra del ministro Beatrice Lorenzin, anche lei, tutto sommato, con un passato berlusconiano alle spalle eppure non sgradita, anzi, ben accolta con tanto di tappeto rosso.
Verdini, si sussurra, ci ha provato fino all’ultimo a traghettare il suo neonato Partito Repubblicano (pensate: l’ex fedelissimo del Cav è stato uno dei primi a depositare il rispolverato logo dell’edera al Viminale) nell’orbita della coalizione capitanata dal leader dem. Era convinto che, in fondo, gli toccasse un po’ di diritto dopo aver già masticato amaro, una volta, in epoca di rimpasto (col passaggio da Renzi a Gentiloni), quando si vide costretto ad incassare lo “zero spaccato” nella casella degli incarichi di governo. Erano o non erano stati quelli di Ala la stampella dell’esecutivo? E allora perché nessuna poltrona? Perché manco lo straccio di un sottosegretariato? Ma ora no.
Archiviato il passato, messaci una bella pietra sopra, ora bisognava solo apporre il sigillo ad un patto, è vero, mai scritto ufficialmente, ma tutto sommato evidente, palese. Dato e ratificato decine e decine di volte nelle innumerevoli votazioni che si erano succedute nell’Aula di Palazzo Madama.
Che male ci sarebbe stato a correre insieme, a continuare un percorso che li aveva visti, spesso e volentieri, procede a braccetto?
E allora giù, di riffa e di raffa, con i tavoli delle trattative, gli incontri e i “faccia a faccia” tirati fino a notte tarda.
Il leader di Ala, nelle ultime settimane, ha riunito più volte i suoi. Ha incontrato i “vertici” del Pd. Ha rassicurato, stilato mappe e piani di battaglia. Qua il collegio a tal dei tali, là la casella del proporzionale. Tu corri di qua, tu ti schieri di là. Tutto sembrava fatto, l’accordo dato addirittura per imminente. Si trattava veramente di smussare gli angoli (almeno questa era la sensazione che trapelava all’esterno). Ma poi, in extremis, quando ormai era già troppo tardi per stilare un “Piano B”, ecco arrivare il redde rationem, quello che non t’aspetti. La classica doccia fredda.
Il buon Matteo spiazza tutti. Rompe con la minoranza interna di Orlando ed Emiliano (il governatore pugliese, punto nel vivo, già parla di rifondazione post voto) e, peggio ancora, dà il benservito agli scomodi “alleati”.
Verdini? No grazie. Chi si allea con il “mostro cattivo”, il plurinquisito, l’ex berlusconiano di ferro, l’indesiderabile? Sai poi la stampa che ci combina se perdiamo? No, meglio ballare da solo.
Una mazzata che ha azzoppato una vasta pattuglia di senatori tra cui spiccavano anche quattro campani non proprio di primo pelo come Ciro Falanga e Antonio Milo (entrambi con più di una legislatura alle spalle), ma anche Pietro Langella ed Eva Longo (radicatissimi sui territori). E che, si narra, avrebbe fatto versare addirittura lacrime di dolore a più di un escluso che già accarezzava la riconferma e che ora proprio non riesce a darsi pace.
“Renzi è un ingrato. Con lui avevo un patto” si sarebbe giustificato Denis (lo rivela un retroscena pubblicato da Fabrizio D’Esposito sul Fatto Quotidiano). “Quest’estate – avrebbe detto – mi ha cercato Berlusconi, era agosto, e mi ha chiesto di organizzargli la quarta gamba di centro”. Ma Denis avrebbe raccontato di aver rifiutato la proposta perché, è l’accusa: “Matteo mi aveva assicurato al 100% che saremmo andati nel centrosinistra”.
Altro che rassicurazione! Altro che centrosinistra! E dire che più di uno tra i verdiniani, in particolare a Sud del Garigliano, aveva ricevuto lusinghe ed avances anche da parte di altri schieramenti politici. Ma loro no: fedeli all’Ala, fedeli al percorso fatto finora, fedeli alla parola data, avevano rispedito, gentilmente, le richieste al mittente aspettando fino all’ultimo l’aprirsi di un miracoloso spiraglio. Una correttezza, evidentemente, pagata a caro prezzo, con il siluramento più amaro e inaspettato.
“Il tradimento non è una categoria valida in politica. È vero, ma dovrebbe esserlo la lealtà di mantenere gli impegni assunti” si affretta a spiegare il vulcanico senatore Vincenzo D’Anna, uno dei più carismatici esponenti della pattuglia parlamentare di Ala. Uno che nella legislatura da poco consegnata agli annali, non le ha di certo mandate a dire e che, già ad ottobre, aveva preferito tirarsi fuori dai giochi (annunciando che non si sarebbe ricandidato) per potersi dedicare all’Ordine dei Biologi (di cui è stato eletto recentemente presidente).
Fu proprio D’Anna d’altronde, qualche settimana prima di Natale, a “bacchettare” bonariamente Verdini profetizzandogli, alla bouvette di Palazzo Madama, davanti a una nutrita schiera di persone, quel che poi sarebbe puntualmente accaduto. “Da Renzi non mi sono mai aspettato niente – ammette lui – d’altronde lo si doveva capire quando non fummo accolti all’interno della maggioranza, pur avendola sostenuta in maniera leale in tante situazioni. Si sarebbe dovuto capire che Renzi, uno che pensa di essere De Gasperi, ma in realtà, è solo un bulletto di periferia, era uno che non voleva perdere nulla del suo e tutto gli andava bene solo finché riceveva qualcosa dagli altri”. “Vedrete – profetizza ancora D’Anna – se non ci saranno maggioranze uscite dalle urne, il governo di larghe intese sarà tra Renzi e Berlusconi. Per similitudine caratteriale”. Ci avrà azzeccato anche stavolta?


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