Campania

La Diocesi vende terreno fittato, agricoltore presenta denuncia

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Lavorare per oltre 30 anni un terreno e poi essere scippato da un momento all’altro dell’unica certezza della vita. E’ questa la storia di Adamo Giusto, agricoltore nato a San Marcellino, e conduttore-possessore di un frutteto sito a Carinaro nell’area industriale di Aversa Nord, che il 9 dicembre 2016 ha presentato una denuncia-querela contro la Marican Sharing e la Marican Construction, entrambe società con sede legale a Teverola (rappresentate rispettivamente da Carmine Canciello e Ferdinando Canciello) e che nei giorni scorsi ha ottenuto una prima vittoria davanti al giudice Fulvio Mastro del Tribunale di Napoli Nord. E’ una storia lunga che però merita di essere raccontata. Il 55enne Adamo Giusto per 36 anni conduce in fitto un terreno di proprietà dell’Istituto Diocesano per il sostentamento del clero di Aversa con un regolare contratto ed è questo “l’unico bene per il sostenamento mio e della mia famiglia”, si legge nella denuncia presentata alla Procura della Repubblica del Tribunale di Napoli Nord e ai carabinieri di Gricignano di Aversa. Solo che la vita dell’agricoltore cambia il 1 dicembre 2016: recandosi al lavoro trova sul proprio terreno degli operai che già avevano tagliato numerose viti che l’uomo coltivava da anni e oltretutto questi operai stavano anche facendo dei buchi per installare dei pali in cemento per provvedere alla recinzione del terreno. Questi pali, praticamente, impedivano ad Adamo Giusto di accedere liberamente al fondo costringendolo a restare ‘fuori’ dal proprio terreno. Alla richiesta di chiarimenti gli operai riferirono di aver ottenuto l’autorizzazione agli interventi da parte dell’Istituto Diocesano. Da lì a poco intervenne anche il geometra dell’Istituto Diocesano, Antenore Cantile di Frignano, che autorizzò, ulteriormente, i lavori. Interventi che poi sono continuati anche il 6 e l’8 dicembre con gli alberi del frutteto praticamente tutti tagliati e con la legna caricata addirittura su un furgone. E’ facile prevedere quanta legna sia venuta fuori da un terreno di 8mila metri quadri. Ma poi ci sono altri due fatti gravi: i residui del taglio sarebbero stati riposti in un pozzo inquinando le falde acquifere e poi sarebbero addirittura stati asportati attrezzi da lavoro come scale in legno ed arnesi per la coltivazione. Ma chi aveva ordinato questi interventi? La risposta arriva subito: la Marican Sharing. Mentre ad operare sarebbero stati gli operai della Marican Construsction. E qui la denuncia per invasione di terreno, danneggiamento di frutteti esposti per necessità alla pubblica fede, furto del legname tagliato e nonché di beni strumentali per la coltivazione del fondo. Ad aggravare il tutto quanto accaduto nelle settimane successive: su quel terreno è stato costruito un immenso capannone industriale. Ad occuparsi del procedimento è stato l’avvocato di San Marcellino Antonio Quarto che ha portato la vicenda in tribunale ottenendo anche una prima vittoria: il giudice Fulvio Mastro ha rilevato che “è provato il contratto di locazione tra Adamo Giusto e l’Istituto Diocesano e non vi è prova di raccomandate di disdetta e non risultano rilevanti il contratto di compravendita concluso tra la Marican e l’Istituto Diocesano e quindi tutte le autorizzazioni successive”. Inoltre il giudice Mastro durante il procedimento aveva intimato alla società di sospendere i lavori ma ciò non è avvenuto ed in tre mesi è stata ultimata una costruzione da 12 milioni di euro. Ed ecco che emerge un dato significativo in più: l’Istituto Diocesano avrebbe venduto un terreno che invece era ancora affittato a Giusto Adamo (sembrerebbe inoltre a cifre inferiori al valore di mercato). Una sorta di ‘marchetta’ sulla quale la giustizia adesso vuole vederci chiaro: il giudice ha ordinato che vengano rimossi il muro di cemento armato realizzato e anche il capannone industriale, ripristinando quindi lo stato preesistente dei luoghi. E in caso di inottemperanza si potrà procedere con l’attuazione coattiva del procedimento. La Marican è stata anche condannata al pagamento delle spese legali. La società di Teverola ha comunque reclamato l’ordinanza chiedendo ulteriori verifiche.


Articolo pubblicato il giorno 22 Gennaio 2018 - 20:35

Redazione Cronaca

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