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Messaggi in codice tra i boss Casalesi: corrispondenza vietata tra il figlio di Sandokan e lo zio Walter. Arriva la conferma della Cassazione

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. Boss detenuti al 41 bis: la Cassazione conferma lo stop della corrispondenza tra , figlio primogenito del capoclan Francesco Sandokan e lo zio Walter. La lettere sospetta, sequestrata perchè conteneva delle parole sottolineate senza che si evidenziasse un pratico ed evidente motivo, aveva fatto scattare il divieto di corrispondenza tra i due detenuti. Divieto avallato dalla Cassazione. Le lettere, secondo i giudici della suprema corte, potrebbero nascondere dei messaggi in codice. Per Nicola Schiavone è stata anche respinta la richiesta di aumentare la durata dei colloqui con i familiari. Il provvedimento restrittivo sulla corrispondenza postale tra Nicola e era stato adottato dal Tribunale di Santa Maria Capua Vetere ed è stato confermato dai giudici della settima sezione della Cassazione alla quale il figlio di Sandokan aveva fatto ricorso. “L'ordinanza impugnata si legge nella sentenza – ha preso in considerazione in modo dettagliato sia l'alterazione di alcuni vocaboli con azioni di ricalco non giustificate da nulla, alla luce di una elementare ragionevolezza, ed ha spiegato le ragioni del fondato sospetto, con motivazione adeguata e priva di illogicità”.
La stessa settima sezione della Cassazione ha confermato il no all'aumento della durata dei colloqui fra Nicola Schiavone ed i congiunti. In questo caso vi era stata una diversa interpretazione della norma, in quanto il Magistrato di Sorveglianza prima e poi il Tribunale dell'Aquila avevano ritenuto sussistere tale possibilità esclusivamente quando non era stato fruito dal detenuto il colloquio nella settimana precedente. Avverso l'ordinanza Schiavone aveva proposto ricorso personalmente, deducendo l'erronea applicazione di legge e la mancanza di motivazione: in particolare era stato eccepito come la motivazione dell'ordinanza fosse apparente e che soprattutto, utilizzando una interpretazione discutibile, finiva per restringere i diritti del detenuto a mantenere i colloqui. In entrambi i casi, quindi, ricorso inammissibile e condanna al pagamento di duemila euro alla cassa delle ammende.