Domenica sera, il Tonga di Pozzuoli ospiterà un aperitivo solidale organizzato dall'associazione Bikers in S.T.R.A.D.A., un evento che unisce la passione per le moto alla solidarietà verso i Ragazzi Invincibili, dimostrando come il motociclismo possa essere un veicolo di comunità e responsabilità.
Pozzuoli si prepara ad accogliere un evento che va oltre la passione per le due ruote. Domenica sera, al Tonga di Pozzuoli, l’associazione Bikers in S.T.R.A.D.A. organizza un aperitivo solidale aperto a soci, amici e cittadini, con l’obiettivo di trasformare un momento di convivialità in un gesto concreto di solidarietà.
L’iniziativa nasce dalla collaborazione con gli amici di Salerno in Moto, promotori del progetto “Befana on the Road”, un’azione benefica dedicata ai Ragazzi Invincibili, che Bikers in S.T.R.A.D.A. ha deciso di sostenere e condividere fin da subito. Una scelta naturale per un’associazione che da sempre interpreta il motociclismo come comunità, responsabilità e presenza attiva sul territorio.
L’aperitivo sarà un’occasione per incontrarsi, scambiarsi gli auguri di Natale e brindare al nuovo anno, ma soprattutto per conoscere da vicino lo scopo dell’iniziativa, ascoltare le testimonianze dei promotori e contribuire, con la propria presenza, alla riuscita del progetto solidale.
«La nostra idea di motociclismo non si ferma alla strada percorsa insieme, ma continua nei valori che condividiamo», dichiara Massimo Solimene, presidente di Bikers in S.T.R.A.D.A.. «Con questo aperitivo vogliamo coinvolgere il maggior numero di persone possibile, bikers e non, per sostenere un progetto in cui crediamo profondamente. La solidarietà, quando è vissuta come squadra, ha un impatto reale».
L’invito è aperto a tutti, partecipare significa esserci, sostenere una buona causa e dimostrare che la comunità dei bikers sa fare rumore anche quando si tratta di solidarietà. Una serata semplice, autentica, capace di lasciare il segno.
La nuova cupola del clan Amato-Pagano segna un capitolo cruciale nella lotta contro la camorra, con richieste di condanne che superano i 550 anni di carcere, frutto di un'inchiesta che ha svelato un sistema criminale astuto e insidioso, pronto a riorganizzarsi anche dopo i colpi inferti dalle.
La nuova cupola del clan Amato-Pagano, erede diretta della galassia degli Scissionisti, viaggia spedita verso una delle più pesanti stangate giudiziarie degli ultimi anni.
Dopo la raffica di collaborazioni e confessioni messe a verbale nelle scorse settimane, ieri mattina nell’aula di tribunale è stato il turno della Direzione distrettuale antimafia di Napoli, che ha chiuso la propria requisitoria chiedendo condanne durissime.
Il procedimento è l’esito di una lunga e articolata inchiesta antimafia, culminata in un maxi blitz che ha decapitato i nuovi vertici del sodalizio dopo l’arresto dei capi storici.
Un’indagine che ha ricostruito, con intercettazioni, pedinamenti e dichiarazioni dei pentiti, la riorganizzazione del clan sotto la regia delle sorelle Debora e Monica Amato, indicate dagli inquirenti come il fulcro decisionale della nuova struttura criminale.
Il blitz scattò all’alba, con decine di arresti tra Secondigliano, Melito, Mugnano e Arzano, roccaforti storiche della cosca. Le accuse spaziano dall’associazione mafiosa al traffico di stupefacenti, passando per estorsioni, intestazioni fittizie, controllo delle aste giudiziarie e una sistematica aggressione ai bonus fiscali.
Un sistema criminale descritto come capillare e moderno, capace persino di “formare” i minorenni affiliati: cosa dire, quando tacere, come reggere un interrogatorio. Una vera e propria università del crimine.
Ieri la Procura ha chiesto complessivamente 46 condanne, per un totale che sfiora i 550 anni di carcere. La richiesta più pesante riguarda Debora Amato, ritenuta il ras della holding criminale, per la quale il pubblico ministero ha invocato oltre quindici anni di reclusione. Pene elevate anche per gli altri presunti reggenti e per la rete di sodali che avrebbe garantito la continuità operativa del clan.
Ora la parola passa al collegio difensivo, chiamato a smontare un impianto accusatorio definito dagli inquirenti “granitico”. Al termine delle arringhe sarà il gip Villano a pronunciarsi con la sentenza.
Queste le richieste di condanna
Luciano De Luca – 15 anni e 6 mesi
Debora Amato – 15 anni e 4 mesi
Luigi Tutino – 15 anni e 4 mesi
Enrico Bocchetti – 14 anni e 8 mesi
Carlo Calzone – 14 anni e 2 mesi
Luigi Diano – 13 anni e 10 mesi
Salvatore Silvestri – 13 anni e 8 mesi
Alfonso Riccio – 13 anni e 6 mesi
Gennaro Liguori – 13 anni e 4 mesi
Antonio Pandolfi – 13 anni e 4 mesi
Concetta Sanguinetti – 13 anni
Maurizio Grandelli – 13 anni
Vincenzo Mangiapili – 13 anni
Cosimo Marino – 13 anni
Raffaele Capasso – 13 anni e 2 mesi
Alessandro De Cicco – 13 anni e 2 mesi
Carlo Troncone – 13 anni e 2 mesi
Francesco Della Gaggia – 12 anni e 6 mesi
Silvio Padrevita – 12 anni e 6 mesi
Arturo Vastarelli – 12 anni e 6 mesi
Domenico Romano – 12 anni e 8 mesi
Emanuele Cicalese – 12 anni
Gennaro Diano – 12 anni
Rosario Iacomino – 12 anni
Francesco Rinaldi – 12 anni e 2 mesi
Raffaele Tutino – 12 anni e 2 mesi
Pasquale Furiano – 12 anni e 4 mesi
Ilaria Jevremovic – 12 anni e 4 mesi
Antonio Marrone – 12 anni e 4 mesi
Gaetano Pezzella – 12 anni e 4 mesi
Salvatore Sarnataro – 12 anni e 4 mesi
Carmine Raffaele Caso – 11 anni e 6 mesi
Gennaro Gallucci – 11 anni e 6 mesi
Vincenzo Imparato – 11 anni
Cristofaro Pragliola – 10 anni
Stefano Orta – 9 anni e 8 mesi
Assunta Rastrelli – 9 anni
Raffaele Barbieri – 8 anni e 10 mesi
Giuseppe Aruta – 8 anni e 8 mesi
Francesco Petito – 8 anni e 8 mesi
Emanuele Giuseppe Nappi – 8 anni
Nicola Tarantino – 7 anni e 10 mesi
Angelo Pagano – 5 anni e 8 mesi
Vincenzo Vallifuoco – 5 anni e 8 mesi
Monica Amato – 4 anni e 4 mesi
Mariarosaria Verde – 3 anni
Da sinistra parte dei vertici del clan Amato Pagano. ovvero il capo Deborah Pagano, Enrico Bocchetti, Monica Amato, Carlo Calzone e Antonio Marrone
Dopo una Supercoppa che prometteva emozioni, il rientro dei tifosi del Napoli si trasforma in un incubo a Capodichino, bloccati da intoppi burocratici e protocolli di sicurezza, costringendo la Lega Serie A a scusarsi e a proporre risarcimenti per un disguido che segna un’ombra su un evento atteso.
Napoli– Quello che doveva essere il tranquillo volo di rientro dalla trasferta di Supercoppa in Arabia Saudita si è trasformato, nelle prime ore di questa mattina, in un vero e proprio incubo logistico per 130 tifosi.
Il volo charter organizzato dalla Lega Calcio Serie A, atterrato all'aeroporto di Capodichino, è rimasto bloccato sulla pista di Napoli a causa di intoppi burocratici che hanno innescato una reazione a catena, lasciando i passeggeri diretti a Milano senza una via d'uscita immediata.
La vicenda ha avuto origine durante i controlli della Polizia di Frontiera. Mentre i sostenitori del Napoli sono sbarcati regolarmente, una complicazione legata alla documentazione dei passeggeri in transito per il Nord ha trattenuto il velivolo fermo per diverse ore.
Questo stallo prolungato ha fatto scattare i rigidi protocolli di sicurezza sul lavoro: il personale di bordo ha superato il limite massimo di ore continuative, rendendo obbligatorio il riposo di undici ore previsto dalla legge prima di poter riprendere il volo.
La Lega Serie A ha espresso "sconcerto" per l'accaduto attraverso una nota ufficiale. Pur sottolineando l'assenza di una responsabilità diretta nella gestione dei controlli aeroportuali, via Rosellini si è scusata formalmente con i tifosi coinvolti.
Per rimediare al danno d'immagine e ai disagi subiti, l'ente organizzatore ha annunciato un piano di risarcimento massiccio: oltre al rimborso integrale delle spese sostenute per i rientri alternativi, ai tifosi sarà offerto un abbonamento annuale alla piattaforma Dazn e un ingresso gratuito allo stadio per una delle prossime sfide casalinghe.
L'episodio non resterà senza conseguenze legali. La Lega ha infatti confermato l'intenzione di contestare formalmente i disservizi ai partner tecnici e ai fornitori contrattualizzati che si sono occupati del trasporto charter. Una mossa necessaria per tutelare un'operazione logistica che aveva coinvolto quasi 200 tifosi delle quattro finaliste, macchiata proprio nell'ultima tappa del viaggio di ritorno.
A Nola, una sentenza del Tribunale segna un precedente significativo nella tutela dei diritti dei consumatori, estendendo il risarcimento per una prolungata sospensione del servizio idrico a tutti i membri di una famiglia, sottolineando l'importanza dell'acqua come bene essenziale per la vita.
A Nola, il Tribunale in funzione di giudice di appello ha emesso una sentenza destinata a fare giurisprudenza in materia di diritti dei consumatori e tutela del bene acqua.
I giudici hanno riconosciuto il risarcimento del danno non patrimoniale a un’intera famiglia colpita da un’illecita sospensione del servizio idrico durata oltre tredici mesi, imponendo alla Gori S.p.a. – gestore del servizio idrico nell’area – di risarcire non solo l’intestatario dell’utenza, ma tutti i componenti del nucleo familiare convivente.
La vicenda riguarda una famiglia residente nel nolano, rimasta senza acqua corrente per oltre un anno a causa di una sospensione disposta dalla Gori ritenuta illegittima dal Tribunale.
L’interruzione del servizio, in assenza di un adeguato preavviso e di una motivazione conforme alle norme, ha provocato un grave disagio quotidiano: impossibilità di igiene personale, difficoltà nella preparazione dei pasti, problemi igienici in casa, con ripercussioni anche sulla salute e sulla qualità della vita di tutti i conviventi.
In primo grado, il giudice aveva già riconosciuto la responsabilità del gestore e il diritto al risarcimento per il danno subìto dall’intestatario dell’utenza. Ma la vera novità arriva in appello, dove il Tribunale di Nola ha accolto l’appello dei consumatori e rigettato quello della Gori, estendendo il risarcimento del danno non patrimoniale a tutti i membri della famiglia che vivevano sotto lo stesso tetto.
I giudici hanno sottolineato che l’acqua è un bene essenziale e che la sua privazione prolungata incide profondamente sulle normali attività quotidiane, compromettendo la vita di ogni componente del nucleo familiare, non solo del titolare del contratto.
“La sentenza – spiega l’avvocato Elio Esposito, legale della famiglia – ha confermato la responsabilità del gestore per l’illecita interruzione del servizio idrico, che ha creato un grave disagio per oltre un anno ai consumatori, privandoli di un bene fondamentale.
Il Tribunale ha accolto la nostra tesi difensiva, estendendo il diritto al risarcimento del danno non patrimoniale a tutti i conviventi. Una vittoria che tutela i diritti dei consumatori e pone un precedente importante sulla risarcibilità del danno per il disagio subìto dall’intero nucleo familiare.”
La decisione del Tribunale di Nola potrebbe aprire la strada a nuove azioni collettive da parte di utenti che, in passato, hanno subìto sospensioni prolungate del servizio idrico senza un’adeguata motivazione o senza la possibilità di accedere a servizi sostitutivi.
In un contesto in cui il diritto all’acqua è sempre più al centro del dibattito giuridico e sociale, la sentenza rappresenta un passo concreto verso una maggiore tutela dei cittadini contro abusi o gestioni inadeguate del servizio pubblico essenziale.
Napoli, notti da incubo allo stadio Maradona: baby gang in moto, minacce e istituzioni assenti. Europa Verde lancia l’allarme: «Subito un presidio fisso»
Catenaccio: Nuovo video choc documenta l’anarchia notturna nell’area antistante l’impianto: corse, impennate e rodei dalle 23:30 all’1:30. Gli attivisti denunciano: «Allertate forze dell’ordine, zero interventi. Siamo stati minacciati mentre riprendevamo». L’appello al deputato Borrelli: «Piani sicurezza insufficienti, serve azione immediata».
(Napoli) – Un’altra notte di caos e paura ha trasformato l’area dello stadio Diego Armando Maradona in una pista illegale e pericolosa. Tra le 23:30 e l’1:30 di venerdì scorso, decine di scooter, moto e auto hanno dato vita a corse clandestine, sgommate e impennate spericolate, agendo nella più totale impunità. A lanciare il nuovo, drammatico allarme è Europa Verde, con un video-denuncia girato dagli attivisti Rosario Pugliese, membro dell’esecutivo del partito, e Daniele Polge, del comitato per la normalizzazione della zona.
Le immagini, già inviate al deputato regionale Francesco Emilio Borrelli, dipingono un quadro di degrado e illegalità che si ripete ormai con frequenza insopportabile. «Questa situazione non è più tollerabile – tuona Borrelli –. Ogni notte di caos è un attentato alla sicurezza pubblica. Quell’area di sosta, invece che sicura, è una zona franca dove sembra vigere la sospensione della legge».
La denuncia degli ambientalisti si fa ancora più grave quando raccontano la dinamica della serata. «Eravamo sul posto e abbiamo allertato sia il comando dei Vigili Urbani che il 112 – spiegano Pugliese e Polge –. Nonostante le segnalazioni dettagliate, non c’è stato alcun intervento». Durante il loro sopralluogo, gli attivisti hanno subito anche minacce dirette. «Siamo stati insultati e intimiditi da alcuni scooteristi, alcuni chiaramente minorenni. La nostra colpa? Stare lì a riprendere. Tra gli epiteti, capivano il loro timore che le immagini finissero da Borrelli».
Il cuore della protesta è un appello disperato alle istituzioni, perché passino dalle parole ai fatti. «Se nonostante feriti, incidenti e minacce non arriva una risposta decisa, bisogna dire la verità: i piani di sicurezza sono insufficienti – concludono gli esponenti di Europa Verde –. Chi ha competenza deve chiarire velocemente come intende procedere. Non servono più promesse, servono presidi fissi, sorveglianza attiva e un piano strutturato. I cittadini non possono essere lasciati soli in un luogo simbolo della città. Napoli ha bisogno di scelte coraggiose, non di rinvii».
Era una mattina gelida a Ekaterinburg quando Sofia, studentessa di informatica, ha notato qualcosa di insolito durante la sua solita passeggiata verso la facoltà. Un gruppo di cani dai mantelli arruffati correva tra le auto parcheggiate, ognuno con una sorta di piccolo zainetto arancione sulla schiena.
È davvero una cattiva idea pensare a un ruolo sociale per chi oggi consideriamo solo un problema?
Non erano solo cani randagi qualunque: erano diventati “Cani Wifi”, hotspot Wi-Fi ambulanti pronti a trasmettere connessione nelle zone colpite dai blackout digitali russi.
Questa idea — che sembra uscita da un romanzo di fantascienza — è parte del progetto Lai-Fi: un’iniziativa di arte, tecnologia e attivismo che trasforma cani di strada in punti di accesso mobile per la connessione Internet. Sostituisce l’idea di antenne fisse con animali vivi, capaci di muoversi fra le strade e connettere le persone in un Paese dove la connessione è sempre meno scontata.
Dal randagio a hotspot: una storia di contraddizioni
Il Cane Wifi non è una soluzione tecnologica convenzionale: sono un simbolo di ingegnosità in tempi di difficoltà. Mentre la Russia affronta frequenti interruzioni di Internet — in parte legate a blackout strategici e blocchi di servizi come WhatsApp o Instagram — l’idea di affidare un pezzo della infrastruttura digitale a cani per strada apre una riflessione profonda sul rapporto tra tecnologia, controllo e natura.
Per gli abitanti di Ekaterinburg, questi cani sono molto più di semplici hotspot Wi-Fi: sono compagni di strada e, a volte, sono stati adottati proprio grazie all’interazione avvenuta mentre la gente cercava signal tra un edificio e l’altro. Alcuni passanti raccontano che coccolare un cane mentre si scarica una mail urgente ha creato un legame più umano con la tecnologia — un contrasto netto con lo scenario di censura digitale imposto dalle autorità.
Un Paese al limite della connessione
La Russia non è estranea ai blackout internet. In molte regioni, la connessione mobile è stata limitata per diversi giorni per motivi di sicurezza nazionale, tra cui il tentativo di ostacolare l’uso delle reti da parte di droni nemici. Questo ha portato a interruzioni che lasciano milioni di utenti offline, mentre i servizi digitali restano sotto stretto controllo statale.
In questo contesto, i Cani Wifi emergono quasi come una metafora: viventi, indipendenti e capaci di portare un segnale dove l’infrastruttura tradizionale fallisce o è deliberatamente oscurata.
Tecnologia o sfruttamento?
L’iniziativa ha però suscitato dibattiti intensi. Per alcuni è un esempio creativo di resilienza urbana. Per altri solleva interrogativi etici su come vengano trattati gli animali in progetti tecnologici o artistici: fino a che punto possiamo “strumentalizzare” gli esseri viventi per esigenze digitali? E riflette una visione più ampia in cui lo Stato e alcune società trattano gli animali e persino organismi vegetali alla stregua di oggetti o dispositivi utili, invece di riconoscerne pienamente il valore intrinseco.
Questa dinamica non è isolata: nella stessa Russia si sperimentano altri utilizzi discutibili della tecnologia su animali, dal monitoraggio con chip all’uso di mucche come sensori di produzione, mostrando un approccio pragmatico — ma per molti moralmente controverso — all’integrazione tra biologia e tecnologia.
Il Cane Wifi non sceglie, ma collega
I cani non sanno di essere diventati infrastruttura. Camminano, si fermano, annusano, cercano cibo. Intanto, le persone attorno controllano le mail, inviano messaggi, leggono notizie. La connessione arriva e se ne va come il cane stesso, senza promesse, senza abbonamenti, senza password.
È tecnologia che respira, che si muove, che non resta ferma su un palo. E qui nasce il primo cortocircuito emotivo: un animale che normalmente viene visto come un problema — randagismo, degrado, pericolo — diventa improvvisamente utile, centrale, persino necessario.
Oggetti o esseri viventi?
C’è però una seconda lettura, più scomoda. La Russia, come altri Paesi, ha spesso una visione fortemente utilitaristica di animali e ambiente: ciò che serve è accettabile, ciò che non serve è sacrificabile. Animali e vegetali trattati come strumenti, come estensioni di un sistema, alla stregua di oggetti tecnologici. Ed è impossibile ignorarlo: il Cane Wifi è anche il simbolo di questa ambiguità. Innovazione brillante o sfruttamento mascherato?
Ma c’è una domanda che resta sospesa
Eppure, guardando questa storia da un’altra angolazione, nasce una riflessione che riguarda anche noi. In molti Paesi — Italia compresa — gli animali randagi sono considerati un problema da contenere, gestire, nascondere. Costano, disturbano, “non servono”.
E se invece avessero un ruolo? Se diventassero parte attiva della società, non per sfruttamento, ma per integrazione? Cura, tecnologia, adozioni, servizi, relazione. Il Cane Wifi, al di là delle polemiche, ci costringe a farci una domanda scomoda ma necessaria:
Conclusione: connessione, controllo e umanità
La storia dei Cani Wifi in Russia è molto più di una curiosità tech: è uno specchio di come le società cercano di restare connesse in un mondo sempre più polarizzato tra libertà digitale e controllo statale. È la storia di cani randagi che, senza saperlo, diventano simboli di resilienza, strumento di connessione e, allo stesso tempo, soggetti di una discussione etica più ampia su come trattiamo gli animali quando li inseriamo nelle nostre reti — digitali e sociali.
Nel tumultuoso mondo del calcio, il recente episodio che ha visto Massimiliano Allegri sanzionato con una multa di 10.000 euro per insulti a Lele Oriali segna un nuovo capitolo nella gestione delle infrazioni, sollevando interrogativi su una disciplina che sembra trasformarsi in una semplice.
Il Giudice sportivo di Serie A ha certificato ufficialmente un principio ormai chiaro: nei campi di calcio si può insultare, purché si sia disposti a pagare la relativa ammenda. Nessuna squalifica, nessuna giornata di stop, solo una multa. E tutto torna a posto.
A farne le spese, ancora una volta, è il Napoli. Massimiliano Allegri, allenatore del Milan, è stato sanzionato con 10.000 euro di multa per quanto accaduto durante la semifinale di Supercoppa persa contro gli azzurri.
Secondo la denuncia del club partenopeo, il tecnico rossonero avrebbe rivolto offese a Lele Oriali, collaboratore di Antonio Conte e figura storica del calcio italiano.
Il Giudice sportivo, Gerardo Mastrandrea, ha riconosciuto i fatti: dagli atti della Procura federale emerge che Allegri ha “assunto un atteggiamento provocatorio nei confronti di un dirigente della squadra avversaria, al quale rivolgeva ripetutamente anche espressioni offensive”. Tutto vero, tutto certificato. Ma non abbastanza grave da giustificare una squalifica.
Curiosamente, durante l’episodio, né l’arbitro né il quarto uomo sono intervenuti. Evidentemente le parole non erano così pesanti. O forse sì, ma solo a posteriori e solo fino a un certo punto.
Morale della favola: offendere un avversario non è più un problema disciplinare, è una voce di bilancio. Diecimila euro e via, come una tassa di soggiorno per gli eccessi verbali. Due pesi e due misure, come spesso accade. E il Napoli, ancora una volta, prende atto.
Un drammatico episodio di violenza domestica ha scosso Roccamonfina, mettendo a nudo una realtà spesso taciuta; la tempestiva reazione della vittima e l'intervento dei Carabinieri hanno evitato il peggio, richiamando l'attenzione su un problema che continua a mietere vittime.
Roccamonfina – Un nuovo episodio di violenza domestica ha sconvolto la tranquilla comunità di Roccamonfina, nel Casertano. Nella notte tra il 19 e il 20 dicembre, un uomo di 40 anni ha aggredito la propria convivente di 38 anni, minacciandola di morte e colpendola ripetutamente con schiaffi e pugni al volto per motivi banali.
La vittima, in preda al terrore, è riuscita a dare l'allarme, permettendo un intervento rapido dei Carabinieri della Stazione locale e dell'aliquota radiomobile della Compagnia di Sessa Aurunca.
Sul posto è arrivato anche il personale del 118, che ha soccorso la donna e l'ha trasportata in ospedale per le cure necessarie a causa delle lesioni riportate.L'aggressore è stato bloccato e arrestato immediatamente. Su disposizione dell'autorità giudiziaria, il 40enne è stato posto agli arresti domiciliari presso l'abitazione del padre, in attesa del rito direttissimo.L'episodio sottolinea ancora una volta la piaga della violenza di genere, spesso consumata tra le mura domestiche.
L'intervento tempestivo delle forze dell'ordine ha evitato conseguenze più gravi, confermando l'impegno costante dei Carabinieri nel contrastare questi reati e nel proteggere le vittime, garantendo loro supporto e tutela. Casi come questo ricordano l'importanza di denunciare subito, contattando il 112 o i centri antiviolenza, per interrompere spirali di abuso che possono sfociare in tragedie.
Nel cuore di Barra, un 44enne è stato arrestato dopo aver cercato di disfarsi di una pistola calibro 9 in un cestino dei rifiuti, un'operazione che evidenzia l'impegno della Questura di Napoli nel contrastare la circolazione di armi illegali nei quartieri più problematici della città.
Napoli – Ha provato a confondersi tra i clienti di un esercizio commerciale, sperando che quel movimento repentino passasse inosservato. Ma il tentativo di seminare gli agenti è servito solo a confermare i sospetti dei poliziotti. È finita con le manette ai polsi la fuga di un 44enne napoletano, già noto alle forze dell'ordine, intercettato ieri pomeriggio nel cuore del quartiere Barra.
L’operazione è scattata durante i servizi straordinari di controllo del territorio disposti dalla Questura di Napoli per arginare la circolazione di armi illegali in città. Gli agenti del Commissariato San Giovanni-Barra stavano pattugliando via Villa Bisignano quando hanno notato l'uomo. Quest'ultimo, alla vista della volante, ha accelerato il passo rifugiandosi all'interno di un negozio.
I poliziotti lo hanno tallonato immediatamente, bloccandolo proprio mentre cercava di disfarsi di una busta, gettandola in un cestino dei rifiuti. All'interno, l'intuizione degli investigatori ha trovato un riscontro inquietante: una pistola calibro 9, carica e pronta all'uso, accompagnata da ben 41 cartucce.
Dagli accertamenti balistici e dai controlli sui numeri di matricola è emerso che l'arma era provento di un furto denunciato in precedenza. Per il 44enne sono scattate le accuse di porto abusivo di arma da fuoco e ricettazione. L'arresto si inserisce nella più ampia stretta delle forze dell'ordine contro il possesso di armi nei quartieri caldi della periferia orientale.
Napoli– La caccia ai "predatori di smartphone" si è conclusa all’alba di oggi. I Carabinieri del Nucleo Operativo della Compagnia Vomero hanno stretto il cerchio attorno a due uomini, rispettivamente di 35 e 53 anni, destinatari di un’ordinanza di custodia cautelare ai domiciliari emessa dal Gip del Tribunale partenopeo su richiesta della Procura.
L'accusa per entrambi è di furto con strappo, un reato che negli ultimi mesi ha seminato preoccupazione tra i passanti dei quartieri collinari e della periferia orientale.
L'indagine, coordinata dalla VII Sezione "Sicurezza Urbana" della Procura di Napoli, è un mosaico ricostruito pezzo dopo pezzo attraverso il setacciamento dei sistemi di videosorveglianza e la coraggiosa testimonianza delle vittime. Due gli episodi chiave contestati agli indagati, che agivano con rapidità e violenza per strappare i cellulari dalle mani dei passanti.
Il primo colpo è avvenuto nel cuore del Vomero, ai danni di una signora di 60 anni. In quell'occasione, la forza brutale impressa per sottrarre il dispositivo ha causato alla donna lievi lesioni, trasformando un furto in un'aggressione fisica traumatica. Il secondo episodio, avvenuto nella zona industriale, ha visto come vittima una 53enne, sorpresa con la medesima tecnica.
A tradire i due malviventi è stata la combinazione tra l'occhio elettronico delle telecamere cittadine e il riconoscimento formale effettuato da una delle vittime, che ha permesso agli inquirenti di dare un nome e un volto ai responsabili. L'operazione di oggi rappresenta una risposta decisa dello Stato ai fenomeni di microcriminalità che colpiscono le fasce più vulnerabili della popolazione.
Terrore in strada tra il Vomero e la Zona Industriale: arrestati due scippatori seriali
Capodanno a Napoli non è solo una festa: è un mix di tradizioni, gesti scaramantici e rituali folkloristici che intrecciano storia, cultura popolare e desideri di fortuna per l’anno nuovo. Nel cuore della città partenopea, tra il fragore dei fuochi d’artificio e il calore delle feste di famiglia, le superstizioni napoletane di Capodanno si manifestano in usanze antiche come l’uso di vestiti rossi, il gesto simbolico delle monete e altre pratiche cariche di significato. Questi riti non sono semplici abitudini: rappresentano il desiderio collettivo di scacciare la malasorte e accogliere prosperità, amore e salute nei dodici mesi a venire.
Il colore della fortuna: vestiti rossi e simbolismi
Una delle tradizioni di Capodanno Napoli più diffuse, e più fotografate, è l’uso del colore rosso durante la notte del 31 dicembre. Che si tratti di vestiti, intimo o semplici accessori, il rosso è considerato un colore portafortuna che richiama amore, passione e protezione contro le energie negative.
Questa usanza ha origini antichissime: il rosso era già simbolo di prosperità e forza fin dai tempi dell’antica Roma e, secondo alcune varianti della tradizione, gli indumenti rossi dovrebbero essere nuovi o regalati, per non trascinare con sé l’energia del passato. Dopo la mezzanotte, in alcune famiglie si butta via l’intimo rosso o lo si cambia, quasi come per “sigillare” l’ingresso dell’anno favorevole.
Monete, lenticchie e altri portafortuna economici
Tra i rituali di Capodanno Napoli più celebri ci sono gesti legati alla ricchezza e alla prosperità. Mangiare lenticchie a mezzanotte, piccole, tonde e simili a monete, è una delle abitudini più diffuse non solo a Napoli ma in tutta l’Italia meridionale. Secondo la tradizione, ogni lenticchia consumata rappresenta un auspicio di una moneta guadagnata nel nuovo anno, portando prosperità e benessere in famiglia.
Oltre alle lenticchie, è comune in molte famiglie scambiarsi piccoli portamonete o regalare simboli legati alla fortuna, come amuleti o piccoli oggetti che richiamano l’idea della ricchezza futura. Anche se meno documentato nella tradizione napoletana specifica rispetto al resto d’Italia, questo gesto si inserisce nell’immaginario collettivo di chi desidera buona sorte economica per l’anno che arriva.
Rumore, fuochi e rituali di purificazione
Un elemento incredibilmente visivo e sonoro delle superstizioni napoletane di Capodanno è legato al rumore e alla purificazione. A Napoli, come in molte città italiane, i botti di Capodanno, dai fuochi d’artificio ai petardi lanciati dai balconi, sono considerati mezzi per scacciare gli spiriti maligni e allontanare la sfortuna. Il frastuono assordante, accompagnato da scoppi improvvisi, dovrebbe creare una sorta di barriera simbolica contro ciò che è negativo, aprendo il nuovo anno con un “reset” energetico collettivo.
Un tempo, questo desiderio di rinnovamento si esprimeva anche con gesti estremi, come gettare piatti e oggetti vecchi dai balconi, pratiche ormai sconsigliate per motivi di sicurezza ma cariche di significato simbolico: liberarsi del passato per fare spazio al nuovo.
Napoli -Colpi di pistola esplosi in pieno giorno, tra i turisti a passeggio sul lungomare di Mergellina, e il panico che si diffonde in pochi istanti in una delle zone più affollate della città. A distanza di mesi da quella domenica di fine marzo, arriva la prima condanna per la sparatoria che il 30 marzo scorso trasformò la rotonda Diaz in un teatro di paura.
Il gip Fabrizio Finamore ha condannato Angelo Bottino a dieci anni di reclusione per duplice tentato omicidio. Il 34enne di Melito, difeso dagli avvocati Domenico Dello Iacono e Mirella Baldascino, aveva scelto di essere giudicato con rito abbreviato.
Una pena inferiore rispetto ai quindici anni richiesti dalla Procura, che aveva sollecitato una condanna più severa in considerazione della gravità dei fatti e del contesto in cui si erano verificati.
Secondo la ricostruzione dell’accusa, Bottino avrebbe aperto il fuoco contro due giostrai, Vincenzo Papa e Vincenzo Rapuano, colpevoli – a suo dire – di averlo offeso davanti agli occhi dei quattro figli minorenni e di altre persone presenti.
Una reazione improvvisa e sproporzionata: tre colpi di pistola esplosi all’impazzata in un’area affollata, con conseguenze che avrebbero potuto essere ancora più gravi. Papa, 44 anni, rimase ferito di striscio a un braccio; Rapuano fu colpito a una gamba.
Resta invece ancora al vaglio la posizione della moglie dell’imputato, attualmente a piede libero e indagata per favoreggiamento. Per la Procura sarebbe stata lei a custodire l’arma prima e dopo il raid. Una versione che Bottino ha cercato di smentire nel corso del processo, assumendosi la responsabilità esclusiva di quanto accaduto.
La sentenza chiude un primo capitolo giudiziario di una vicenda che ha segnato profondamente l’opinione pubblica, riportando l’attenzione sui rischi legati alla violenza armata in contesti urbani e turistici.
Una sparatoria nata, secondo la difesa, da un’offesa verbale, ma che per la giustizia si è tradotta in un grave reato contro la vita, consumato sotto gli occhi di famiglie e passanti ignari.
Napoli, ferì due giostrai a Mergellina: 10 anni di carcere per Angelo Bottino
NAPOLI – Non si ferma l’offensiva della Polizia di Stato contro il traffico di stupefacenti nel cuore di Napoli. Nelle ultime 24 ore, gli agenti della Questura hanno portato a termine due distinti interventi nell'area della Vicaria, nell'ambito di un servizio straordinario di controllo del territorio che ha portato all’arresto di due pusher.
La colluttazione a Porta Nolana Il primo intervento è scattato in vico Pergola, a ridosso di Porta Nolana. Gli agenti del Commissariato Vicaria-Mercato hanno sorpreso un 43enne di origini tunisine mentre cedeva dosi in cambio di contanti. Alla vista delle divise, l'uomo ha tentato di opporre resistenza: ne è nata una breve ma concitata colluttazione, al termine della quale i poliziotti sono riusciti a immobilizzarlo. La perquisizione ha svelato il consistente bottino di droga: 300 grammi di hashish e un involucro contenente circa 3 grammi di cocaina.
Il blitz in piazza Capuana Poco dopo, l'attenzione dei poliziotti si è spostata in piazza Capuana. Qui, con una dinamica quasi identica, è finito nei guai un napoletano di 59 anni. L’uomo è stato bloccato subito dopo aver concluso uno scambio "soldi-droga" con un acquirente. Nelle sue tasche i poliziotti hanno rinvenuto tre bustine di marijuana, per un peso di 25 grammi, e 30 euro in contanti, ritenuti provento dell’attività illecita appena compiuta.
Il bilancio Per entrambi è scattato l’arresto con l'accusa di detenzione illecita di sostanze stupefacenti. L'operazione si inserisce nel più ampio piano di monitoraggio disposto dalla Questura di Napoli per bonificare le piazze di spaccio del centro storico e restituire sicurezza ai residenti.
Catanzaro - Una maxi operazione anticontraffazione della Guardia di finanza di Catanzaro ha portato al sequestro di centinaia di maglie e completi di note squadre di calcio, tutti contraffatti. Un commerciante locale è stato denunciato alla Procura della Repubblica per gestione di un negozio online che commercializzava abbigliamento sportivo illegale.
I finanzieri del Gruppo di Catanzaro hanno individuato l'attività illecita attraverso un'intensa attività di monitoraggio del web e dei social network. Le indagini hanno consentito di ricostruire l'intera filiera commerciale, scoprendo un vero e proprio e-commerce gestito da un imprenditore catanzarese.
Le perquisizioni, coordinate dalla Procura, hanno portato al sequestro di numerosi capi di abbigliamento sportivo contraffatto. Gli articoli riproducevano fedelmente le maglie di squadre italiane e straniere, riportando marchi di fabbrica falsificati di grandi brand come Adidas, Nike e Puma. L'operazione ha accertato anche la violazione dei diritti d'immagine dei club iscritti alla Lega calcio di serie A.
Durante i controlli, gli investigatori hanno rinvenuto anche 294 termoadesivi pronti per essere applicati sulle maglie. Si tratta di numeri e cognomi di noti calciatori della nazionale italiana, ulteriore prova dell'organizzazione commerciale che mirava a sfruttare il mercato del collezionismo sportivo.
Il commerciante ora dovrà rispondere di contraffazione e violazione di diritti di proprietà intellettuale. L'operazione conferma l'attenzione delle forze dell'ordine nei confronti del commercio online illegale di prodotti contraffatti.
Napoli– Le sbarre del carcere di Bellizzi Irpino non erano un ostacolo, ma solo un ufficio distaccato da cui continuare a gestire il business della droga. È arrivata ieri la stangata giudiziaria per il gruppo criminale capeggiato da Americo Marrone, il ras di Altavilla Irpina che, nonostante la detenzione, continuava a muovere i fili dello spaccio in provincia di Avellino.
Il Gup del Tribunale di Napoli, Fabrizio Finamore, ha emesso condanne complessive per quasi 42 anni di reclusione, colpendo duramente il vertice e i gregari di quella che gli inquirenti hanno descritto come una "piazza di spaccio a conduzione familiare".
Le condanne
Al termine del processo celebrato con rito abbreviato – che prevede lo sconto di un terzo della pena – la mano del giudice è stata pesante, seppur limando le richieste iniziali della pubblica accusa. Ad Americo Marrone, considerato il regista indiscusso del sodalizio, sono stati inflitti 14 anni, un mese e 10 giorni di reclusione.
Non sono stati risparmiati i familiari più stretti, fondamentali per garantire il collegamento tra il carcere e la strada: la moglie del boss, Tiziana Porchi, ha incassato una condanna a 7 anni e due mesi, mentre il nipote, Valentino D’Angelo, dovrà scontare 6 anni e 8 mesi. Pene severe anche per gli altri componenti della rete: Aniello Manzo è stato condannato a 6 anni e 11 mesi, mentre per Francesco De Angelis la pena è di 6 anni, 11 mesi e 10 giorni.
La sentenza giunge al termine di una camera di consiglio iniziata dopo le arringhe del collegio difensivo, composto dagli avvocati Gaetano Aufiero, Loredana De Risi e Roberto Romano. A metà novembre, il pm della Dda Henry John Woodcock aveva invocato pene ancora più severe, chiedendo 18 anni per Marrone e condanne tra i 7 e i 9 anni per i complici.
Il verdetto conferma comunque l'impianto accusatorio, riconoscendo la gravità di un sistema criminale capace di operare in regime di detenzione.
Il sistema: "sim citofono" e ordini dalla cella
L'operazione che ha portato alle condanne di ieri era scattata lo scorso aprile, condotta dalla Squadra Mobile di Avellino sotto la guida del vice questore Aniello Ingenito. Le indagini avevano scoperchiato un meccanismo tanto semplice quanto efficace: Marrone non aveva mai smesso di essere il capo. Dalla sua cella nel penitenziario avellinese, impartiva ordini precisi utilizzando cellulari introdotti illegalmente.
Secondo la ricostruzione degli inquirenti, il ruolo chiave era quello di Tiziana Porchi. La donna fungeva da "ufficiale di collegamento": non solo gestiva i messaggi del marito, ma si occupava di mantenere attiva una rete di comunicazione sicura. Il gruppo utilizzava schede sim intestate a prestanome stranieri, sostituite con frequenza quasi maniacale per eludere le intercettazioni. Una precauzione che, tuttavia, non è bastata a sfuggire ai radar dell'Antimafia, che ha intercettato e decodificato il flusso di ordini che partiva da Bellizzi Irpino per inondare di droga l’Irpinia.
Napoli – Proseguono i lavori di restauro di Castel dell’Ovo, uno dei monumenti più rappresentativi della città. In questi giorni sono state rimosse le impalcature esterne e completato il recupero delle facciate lungo i percorsi interni, un passaggio che segna un’importante tappa nell’intervento complessivo, come sottolineato da Palazzo San Giacomo.
Il progetto, finanziato con fondi FSC (Fondo Sviluppo e Coesione) per un importo complessivo di 8 milioni di euro, è entrato in una fase avanzata: i primi due lotti sono stati completati, mentre l’ultimazione del terzo e ultimo lotto è prevista entro l’inizio del 2026.
Il sindaco Gaetano Manfredi ha ribadito l’impegno dell’amministrazione comunale per la tutela e la valorizzazione dei beni storici e culturali, evidenziando il ruolo strategico di Castel dell’Ovo come attrattore turistico-culturale e simbolo identitario di Napoli.
Parallelamente, è in corso la progettazione dell’intervento di rifiorimento della scogliera a protezione del Ramaglietto, per un valore di circa 2 milioni di euro, finanziati dalla Città Metropolitana di Napoli. L’opera punta a rafforzare la sicurezza e la stabilità della struttura, contribuendo alla salvaguardia del patrimonio storico e paesaggistico dell’area.
Il Comune, inoltre, ha programmato l’utilizzo di ulteriori 4 milioni di euro, provenienti da vecchi mutui di bilancio, destinati al completamento di alcune sale interne e al potenziamento dell’illuminazione dei percorsi. I lavori partiranno nel corso del 2026 con l’obiettivo di migliorare la fruibilità del sito per cittadini e turisti.
Interventi che, secondo l’amministrazione, non solo consentono la conservazione dell’edificio, ma rafforzano anche la sicurezza e la qualità dell’accoglienza, in linea con la strategia di sviluppo culturale e turistico della città.
Castellammare– Doveva essere la celebrazione dello sport, il momento in cui la città delle acque ricongiungeva la sua storia con i valori dell'Olimpismo. E invece, il passaggio della fiamma olimpica rischia di lasciare una scia di polemiche roventi quanto il fuoco di Olimpia.
Al centro della bufera c'è l'esclusione eccellente di chi, quella fiamma, l'ha onorata con il sudore e le medaglie vere: Salvatore Amitrano e Catello Amarante.
I due campioni del canottaggio stabiese, colonne portanti di una tradizione che ha portato il nome di Castellammare sui tetti del mondo, sono stati lasciati in panchina. O meglio, sul marciapiede, confusi tra la folla.
Nessuna chiamata, nessun invito a reggere la torcia, nonostante un curriculum che parla da solo: Amitrano, bronzo ad Atene 2004 nel "quattro senza" pesi leggeri, e Amarante, veterano di molteplici spedizioni a cinque cerchi e plurimedagliato a Mondiali ed Europei.
"Il passaggio della fiamma sarà una festa per tutti e noi ci saremo, in mezzo alla gente ad applaudire gli atleti", dichiarano i due campioni con un fair play che stride con il trattamento ricevuto. Ma sotto l'eleganza sportiva, c'è la ferita di chi si sente dimenticato dalla propria terra: "Ci dispiace che i nostri nomi non siano stati mai presi in considerazione come possibili tedofori".
È un j'accuse garbato ma potentissimo, che punta il dito contro una macchina organizzativa forse distratta, forse smemorata. "Non sappiamo quali siano stati i criteri di selezione", sottolineano i due atleti, evidenziando il paradosso di una città che celebra lo spirito olimpico dimentic
andosi di chi ha portato Castellammare nell'Olimpo vero. "Questa poteva essere una bella occasione per ricordare anche noi atleti medagliati, legati indissolubilmente al nome della città e alla tradizione del canottaggio".
Mentre la fiamma attraverserà le strade stabiesi, l'assenza di Amitrano e Amarante peserà come un macigno. La loro esclusione non è solo uno sgarbo personale, ma un cortocircuito nella memoria sportiva di una città che, troppo spesso, sembra dimenticare i suoi figli migliori proprio nel momento della festa.
Benevento– La Guardia di Finanza ha messo a segno un importante colpo contro la vendita abusiva di fuochi d'artificio nel capoluogo sannita. I finanzieri del Nucleo Mobile del Gruppo di Benevento hanno sequestrato circa 23 chilogrammi di sostanza esplosiva, corrispondenti a oltre 2.400 manufatti pirotecnici, in un esercizio commerciale specializzato in articoli per la casa.L'operazione è scattata durante un controllo di routine mirato al contrasto dei traffici illeciti.
All'interno del negozio, aperto al pubblico, i militari hanno scoperto circa 1.300 fuochi d'artificio esposti sugli scaffali, a diretto contatto con prodotti altamente infiammabili come carta e plastica, creando una situazione di grave pericolo.Insospettiti, i finanzieri hanno esteso l'ispezione a un magazzino annesso, dove hanno rinvenuto altri 1.100 pezzi.
Il titolare non è stato in grado di esibire la licenza di pubblica sicurezza obbligatoria per la detenzione e la vendita di materiale pirotecnico, rendendo l'intera partita illegale.L'uomo è stato denunciato alla Procura della Repubblica di Benevento per commercio abusivo di materie esplodenti e vendita senza autorizzazione. Tutto il materiale è stato sequestrato e affidato a una ditta specializzata per la distruzione in sicurezza.
L'intervento si inserisce in un più ampio dispositivo di controllo del territorio da parte delle Fiamme Gialle sannite, intensificato con l'avvicinarsi delle festività natalizie e di Capodanno. Obiettivo principale: reprimere la commercializzazione di botti non sicuri, tutelare i consumatori e prevenire incidenti legati all'uso improprio di questi artifici, spesso causa di gravi lesioni durante i festeggiamenti.
La Polizia di Stato ha concluso una vasta operazione nazionale “ad alto impatto investigativo” contro lo spaccio di sostanze stupefacenti e i reati collegati alla cosiddetta criminalità diffusa.
L’attività, condotta dalle Squadre Mobili su tutto il territorio e coordinata dal Servizio Centrale Operativo, ha portato a 384 arresti e 655 denunce a piede libero, oltre al sequestro di circa 1.400 chilogrammi di droga.
Nel mirino degli investigatori non solo le piazze di spaccio tradizionali, ma anche contesti legati alla “mala-movida” e ad aree ritenute sensibili. Le contestazioni hanno riguardato episodi di violenza, “regolamenti di conti”, reati contro il patrimonio, porto illegale di armi e attività di spaccio, con attenzione anche alle nuove modalità di approvvigionamento e consumo delle sostanze, richiamate dalle analisi della Direzione centrale per i servizi antidroga.
I numeri dell’operazione
Durante i controlli, eseguiti con il supporto del Reparto Prevenzione Crimine e di altri uffici delle Questure, la Polizia ha:
identificato 95.164 persone ritenute sospette (16.701 stranieri e 10.848 minorenni); su circa un migliaio sono in corso valutazioni per eventuali misure amministrative di prevenzione
arrestato 384 soggetti (166 stranieri e 6 minorenni) e denunciato 655 persone (256 stranieri e 39 minorenni)
sequestrato 35 kg di cocaina, 1.370 kg di cannabinoidi e 1 kg di eroina
sequestrato 41 armi da fuoco e 80 armi bianche, oltre a più di 300.000 euro in contanti ritenuti provento dello spaccio
elevato 565 sanzioni amministrative, in prevalenza per uso di stupefacenti e somministrazione illegale di alcol
individuato profili social sui quali sono in corso verifiche: i contenuti, secondo quanto riferito, sarebbero riconducibili ai fenomeni criminali oggetto dell’operazione, con possibile segnalazione all’autorità giudiziaria per l’eventuale oscuramento
Focus cannabis shop e nuove regole
Nello stesso contesto sono stati effettuati controlli mirati sull’applicazione del nuovo quadro normativo introdotto dal decreto legge 48/2025, convertito nella legge 80/2025, che riguarda anche la vendita di prodotti a base di canapa nei cosiddetti cannabis shop.
Gli accertamenti specifici hanno portato a:
5 cannabis shop sequestrati in 3 città
3 arresti e 141 denunce a carico di titolari o gestori
312 cannabis shop controllati
sequestro di 296 kg di cannabinoidi che, dalle prime analisi, presenterebbero caratteristiche di sostanze stupefacenti
Il bilancio a Napoli
Per quanto riguarda Napoli, la Squadra Mobile ha riferito di aver:
denunciato 3 persone (titolari o gestori di cannabis shop)
controllato 5 cannabis shop
sequestrato oltre 5 kg di cannabinoidi ritenuti, dai primi esiti analitici, assimilabili a stupefacenti, oltre a 322 involucri contenenti sostanze di vario tipo.
Maxi blitz antidroga in tutta Italia: 384 arresti e 655 denunce, sequestrati 1.400 chili di stupefacenti
La polizia locale di Arzano ha avviato una serie di controlli mirati sulle strade cittadine in vista delle festività natalizie, con l'obiettivo di contrastare le violazioni del codice della strada e garantire la sicurezza della circolazione.
L'operazione, coordinata dal colonnello Biagio Chiariello - che ricopre anche l'incarico di comandante della polizia provinciale di Caserta - ha portato al controllo di oltre 70 veicoli nelle principali arterie del territorio comunale. Gli agenti hanno concentrato l'attenzione su soste irregolari e veicoli privi di copertura assicurativa, fenomeni che compromettono la viabilità e la sicurezza stradale.
Il bilancio dei controlli è significativo: 47 veicoli sono stati sanzionati, mentre 6 mezzi tra auto e scooter sono finiti sotto sequestro per mancanza di assicurazione. In alcuni casi, gli agenti hanno proceduto anche al ritiro delle patenti di guida a seguito di gravi infrazioni al codice della strada.
Organico ridotto ma attività intensificata
Dal Comando della polizia locale fanno sapere che l'attività di contrasto procede nonostante le difficoltà operative. "La lotta è impari", spiegano gli agenti, che operano con un organico ridotto al di sotto del 50 per cento rispetto alla dotazione prevista, dovendo far fronte a molteplici incombenze istituzionali.
Nonostante le carenze di personale, i controlli proseguiranno nelle prossime settimane, in un periodo caratterizzato da un maggiore afflusso di persone e veicoli sulle strade cittadine. L'obiettivo rimane quello di garantire il rispetto delle normative e la sicurezza di tutti gli utenti della strada durante le festività.