Il Garante nazionale dei detenuti: in 3 procure indagini sulle torture

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Secondo il Garante nazionale dei detenuti sono tre le indagini in Italia in cui si procede per il reato di tortura ai danni di detenuti. Il dato e’ contenuto nella relazione al Parlamento presentata da Mauro Palma. La fattispecie penale e’ stata introdotta nel luglio del 2017 ed e’ prevista dall’articolo 613-bis del codice penale.

 

“A conoscenza del Garante nazionale, che, in quanto persona offesa nei procedimenti penali che riguardano ipotesi di reato ai danni di persone private della liberta’, riceve informazioni sull’avvio e sullo stato di tali procedimenti, tre procure d’Italia, quella di Napoli, quella di Siena e quella di Torino, hanno aperto ognuna un procedimento penale – e’ detto nella relazione – ravvisando il delitto di tortura in atti di violenza e di minaccia compiuti da operatori della polizia penitenziaria nei confronti di persone detenute”.

Il Garante “ribadisce il valore dell’introduzione, nel corpo della legislazione penale, di una fattispecie di reato destinata a reprimere ogni ipotesi di tortura, come dato costitutivo di uno Stato di diritto”.

    Il ciclone Covid-19, al momento, pare essersi abbattuto sul pianeta carcere con minor intensità di quella temuta. Dall’inizio della pandemia, a fronte di 7.188 tamponi eseguiti, i detenuti contagiati dal coronavirus risultano 284, di cui 33 “esterni” ricoverati in ospedale. Gli agenti penitenziari positivi ammontano, invece, a 51. Sono dati inediti, aggiornati al 18 giugno, contenuti nella Relazione al Parlamento del Garante nazionale per i detenuti e le persone private della libertà, che verrà presentata oggi e di cui Avvenire è in grado di anticipare i contenuti.

    Tra il marzo del 2019 e i primi mesi del 2020, i componenti del collegio del Garante (Mauro Palma, presidente, Emilia Rossi e Daniela de Robert) hanno visitato 70 luoghi di privazione della libertà in 15 Regioni (carceri, istituti minorili, residenze per anziani e Rems, Cpr e hotspot per migranti, servizi ospedalieri psichiatrici) e hanno monitorato 46 voli di rimpatrio forzato. Nelle Rsa, in particolare, l’Istituto superiore di sanità ha condotto una ricerca a cui ha collaborato il Garante, facendo luce sulla “gravità delle conseguenze della diffusione del virus in queste strutture”.

    Le proteste in carcere hanno causato la morte di 14 detenuti. Il Garante si è presentato come parte offesa nei procedimenti sulle cause dei decessi. Attualmente, si legge nella Relazione, nei penitenziari si trovano 53.559 reclusi, 7mila in meno di febbraio, per via delle misure alternative disposte durante la pandemia. Tre procure (Napoli, Siena e Torino) hanno aperto inchieste “ravvisando il delitto di tortura in atti di violenza e di minaccia compiuti da operatori della Polizia penitenziaria” su detenuti. Preoccupa la salute mentale dei reclusi. I 53 suicidi nel 2019 e l’aumento di episodi di autolesionismo e atti aggressivi “indicano un progressivo incremento del disagio generale”.

    “Modificare i decreti sicurezza”. Nel 2019, nei Centri di permanenza per i rimpatri, su 6.172 persone trattenute solo 2.992 sono state rimpatriate. Inoltre, in 1.775 casi la loro privazione della libertà non è stata confermata dall’Autorità giudiziaria. Quest’anno i rimpatri forzati sono stati sospesi dall’Ue durante l’emergenza e ripresi solo da poco. Nei 9 Cpr al momento ci sono 400 persone, su 600 posti, e non c’è stato un problema di contagio (solo 3 casi, immediatamente isolati). Mentre prosegue il dibattito politico nella maggioranza, il Garante torna a chiedere che governo e Parlamento si adoperino per “la più volte annunciata revisione dei cosiddetti decreti sicurezza”, peraltro incompatibili “in caso di navi impegnate nel soccorso in mare, con gli obblighi internazionali”.

    Palma avverte: “Senza un passo indietro del legislatore e un ripensamento globale delle politiche di gestione delle frontiere, il Mediterraneo rischia tuttora di rimanere teatro di violazioni”. La relazione sottolinea “l’inconciliabile contrapposizione logica tra la previsione di un’area di ricerca e soccorso (Sar) di competenza libica e l’impossibilità di ritenere la Libia un place of safety, cosa di cui nessuno può dubitare”.



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