Un'inchiesta della Procura di Napoli svela un'organizzazione collaudata che ha preso di mira anziani in tutta Italia, utilizzando la tecnica del "finto carabiniere". Al centro della trama ci sono Alessandro D'Errico e Antonietta Mascitelli, già noti alle forze dell'ordine, che orchestravano questo…
Napoli – C’era una coppia al vertice dell’organizzazione, una struttura collaudata, quasi industriale, capace di colpire anziani in tutta Italia con la tecnica ormai tristemente nota del “finto carabiniere”.
È questo lo scenario che emerge dalla complessa inchiesta coordinata dalla Procura di Napoli, scaturita da una denuncia presentata ai carabinieri di Genova, che ha portato all’iscrizione nel registro degli indagati di 23 persone, tra cui otto donne, di età compresa tra i 22 e i 43 anni, oltre a un minorenne.
Per 21 di loro sono scattate misure cautelari. Tutti devono rispondere, a vario titolo, di associazione a delinquere finalizzata alla commissione di truffe aggravate, in particolare ai danni di persone anziane, scelte proprio per la loro condizione di maggiore fragilità e ridotta capacità di difesa. Secondo gli inquirenti, il gruppo avrebbe agito con l’ausilio di almeno altre dieci persone non ancora identificate, mettendo a segno un numero imprecisato di colpi.
Al centro dell’indagine, firmata dal gip di Napoli Federica Colucci, le figure di Alessandro D’Errico, 36 anni, detto “lo zio”, e Antonietta Mascitelli, 40 anni, soprannominata “la zia”. Per gli investigatori erano i promotori e organizzatori della banda, con base operativa a Napoli.
I due non sono volti nuovi alle forze dell’ordine: erano già stati arrestati nel luglio scorso insieme ad altre 21 persone per una serie di truffe agli anziani messe a segno tra Genova e il Nord Italia nel giugno precedente. Per quel filone la Procura di Genova ha già disposto il processo immediato.
D’Errico e Mascitelli, ricostruiscono gli inquirenti, erano i veri punti di riferimento del sodalizio: impartivano ordini, assegnavano i ruoli, anticipavano il denaro necessario per le trasferte e curavano la logistica. In particolare si occupavano di reperire utenze telefoniche intestate fittiziamente a cittadini extracomunitari, utilizzate sia per contattare le vittime sia per mantenere i contatti con i cosiddetti “trasfertisti”, attraverso un sistema definito a circuito chiuso per evitare intercettazioni esterne.
L’organizzazione disponeva anche di locali adibiti a veri e propri call center clandestini, spesso ricavati all’interno di bed and breakfast, dove ogni giorno lavoravano stabilmente tre o quattro telefonisti. Il loro compito era quello di effettuare il maggior numero possibile di chiamate: fino a 500 contatti al giorno, in zone del Paese scelte di volta in volta dai promotori. I numeri venivano pescati dai vecchi elenchi telefonici cartacei, quelli della linea fissa, dove la probabilità di trovare persone anziane era più alta.
Il copione era sempre lo stesso. Una voce si presentava come appartenente alle forze dell’ordine: «Buongiorno, sono il maresciallo dei carabinieri». Poi la notizia shock: un incidente stradale, il figlio o la figlia coinvolti, due pedoni investiti, uno in gravi condizioni, l’arresto imminente e il rischio di due o quattro anni di carcere. In sottofondo, come emerge da un audio diffuso dagli inquirenti, si sentono voci sovrapposte, presunti familiari che piangono e chiedono aiuto, in un crescendo studiato per mandare in panico la vittima e impedirle di contattare parenti o persone di fiducia.
Una vera e propria violenza psicologica, esercitata con rapidità e insistenza, che spesso si concludeva con la consegna di denaro, gioielli e beni di valore, poi immessi nel mercato clandestino. Un sistema spietato, costruito per colpire chi aveva meno strumenti per difendersi. Ora, per quella rete, si stringe il cerchio della giustizia.
Fonte REDAZIONE





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