

La fabbrica lager di San Gennaro Vesuviano
È ancora notte quando le lancette segnano le 5 e le saracinesche di via Nola, a San Gennaro Vesuviano, sono tutte abbassate. Ma su una palazzina anonima, mimetizzata tra abitazioni e piccoli esercizi, i riflettori sono già puntati.
I carabinieri stanno per entrare in un edificio che, piano dopo piano, racconta la doppia faccia del lavoro nero che da anni segna il tessuto economico dei comuni vesuviani: dormitorio e fabbrica, casa e opificio, vita e sfruttamento nello stesso blocco di cemento.
Su tre livelli si consuma un intreccio fatto di degrado abitativo e irregolarità lavorative. Ai piani superiori non ci sono semplici appartamenti, ma veri e propri dormitori di fortuna. I militari ne contano 76 di operai, stipati in stanze fatiscenti, con letti arrangiati alla meglio, servizi igienici ridotti all’osso, ambienti segnati da umidità, scarsa aerazione e condizioni igienico-sanitarie al limite.
Spazi nati come abitazioni trasformati in alloggi collettivi dove il confine tra vita privata e lavoro praticamente scompare, scandito solo dai turni in fabbrica.
In uno dei locali, tra materassi e suppellettili di fortuna, anche un’area adibita al culto islamico: un dettaglio che racconta la presenza di manodopera straniera e la dimensione spesso invisibile di queste comunità, che vivono e lavorano ai margini, senza tutele, diritti e quasi sempre senza contratti.
Il cuore del sistema è però al piano terra: un opificio tessile completamente abusivo, coperto da una tettoia anch’essa priva di qualsiasi autorizzazione. Qui si confeziona, si taglia, si cuce. I macchinari sono alimentati da allacci regolari ma inseriti in un contesto completamente fuori norma sotto il profilo urbanistico, edilizio, ambientale e della sicurezza sul lavoro. L’intera struttura viene rifornita d’acqua da un pozzo scavato senza criterio e senza autorizzazioni, ulteriore tassello di un quadro di illegalità diffusa.
L’operazione, scattata all’alba, è stata condotta dai carabinieri della stazione di San Gennaro Vesuviano, con il supporto dei carabinieri forestali di Roccarainola, del Nucleo Ispettorato del Lavoro, della polizia locale, del personale Enel e dell’Asl.
Al termine dei controlli sono state denunciate in stato di libertà 11 persone, a vario titolo ritenute responsabili di violazioni in materia edilizia, ambientale, di sicurezza sul lavoro e, secondo quanto trapela, di impiego di manodopera in nero.
Il caso di via Nola non è un episodio isolato, ma il tassello di un fenomeno radicato in molti comuni dell’area vesuviana, dove il settore tessile e quello manifatturiero, spesso affidati a microimprese e laboratori sommersi, continuano a vivere di irregolarità, eludendo controlli e normative. Palazzine-opificio, dormitori-laboratorio, condizioni abitative indegne e lavoratori invisibili: una geografia del lavoro nero che si estende tra San Gennaro Vesuviano, San Giuseppe Vesuviano, Terzigno, Ottaviano e altri centri dell’hinterland.
Le indagini proseguono per ricostruire la filiera produttiva e capire per quali committenti venissero realizzati i capi nell’opificio abusivo.
Un passaggio chiave per risalire alla “cabina di regia” economica di un sistema che regge i propri margini di profitto sul taglio dei costi, lo sfruttamento della manodopera e il totale disinteresse per la sicurezza e la dignità dei lavoratori.