Napoli - L’ordine partiva dal carcere, ma arrivava nitido nei vicoli di Napoli Ovest. Dalle celle di Voghera, Alessandro Giannelli continuava a esercitare il suo potere sul territorio, dimostrando come per il clan Licciardi la detenzione non rappresentasse affatto una linea di confine.
Attraverso telefoni cellulari detenuti illegalmente e una rete di emissari fidati, Giannelli dettava le regole, decideva chi poteva “lavorare” e soprattutto quanto doveva pagare.
L’ordinanza cautelare del gip Federica De Bellis che due settimane fa che ha colpito il clan di Secondigliano fotografa uno scenario inquietante: le truffe informatiche, in particolare il phishing, diventano terreno di conquista mafiosa, una nuova frontiera del racket. Non più solo estorsioni a commercianti e imprenditori, ma una vera e propria tassazione criminale sulle frodi online commesse nei quartieri sotto controllo camorristico.
Bagnoli, Cavalleggeri, Rione Traiano: territori che, secondo la logica geo-criminale ricostruita dagli inquirenti, non sono semplici quartieri ma feudi. E in quei feudi nulla può accadere senza il consenso del clan.
Per il Tribunale non ci sono dubbi. Quella di Giannelli è un’imposizione mafiosa, aggravata dal metodo e dalla finalità di controllo del territorio. Esposito Luigi non è una vittima, ma un complice consapevole, parte integrante del meccanismo estorsivo.
La nuova frontiera: il phishing sotto controllo mafioso
Gli atti dell’inchiesta spiegano bene il meccanismo. Il phishing – l’invio di email contraffatte con loghi bancari o di piattaforme di e-commerce per carpire dati sensibili – è diventato una fonte di guadagno rilevante. I truffatori agiscono spesso da casa, senza violenza apparente, ma producono flussi di denaro importanti. Ed è proprio lì che entra in scena la camorra.
Secondo la ricostruzione degli investigatori, il clan Licciardi rivendica una competenza “geo-criminale”: tutto ciò che avviene a Cavalleggeri, Bagnoli, Rione Traiano, deve essere autorizzato e tassato. Chi non paga, scappa. O peggio.
Le truffe online diventano così l’ennesimo business camorristico. Cambiano gli strumenti, non le regole. Il territorio resta sacro. E chi guadagna, deve pagare.
Le intercettazioni raccontano che Giannelli aveva fatto arrivare “l’imbasciata”: chi truffava in zona Cavalleggeri doveva versare una quota dei guadagni. Una pretesa che non lasciava spazio a trattative. A farsi carico delle pressioni era Luigi Esposito, uomo organico al clan, anello di collegamento tra il boss detenuto e la manovalanza sul territorio.
Giannelli comanda dal carcere
Al centro della vicenda c’è Alessandro Giannelli. È detenuto, ma comunica con l’esterno grazie a telefoni cellulari introdotti illegalmente in carcere. Le intercettazioni dimostrano che chiama, scrive, invia messaggi, fa arrivare “imbasciate”. Le sue decisioni vengono eseguite con puntualità.
A fare da intermediario è Luigi Esposito, uomo del clan, punto di raccordo tra il boss e chi opera sul territorio. È Esposito che riceve le pressioni, che tratta, che minaccia, che promette protezione o la ritira.
L’imbasciata: “Chi truffa a Cavalleggeri deve pagare”
Il 23 aprile 2022, alle due di notte, Luigi Esposito racconta alla fidanzata Martina Ferrara di essere stato bombardato di messaggi:
«Mi ha contattato Alessandro… quindici, sedici messaggi… martedì viene la sua ragazza, mi deve portare un biglietto… vedi se mi puoi fare questo piacere».
Il “piacere” è chiaro a entrambi. Non si tratta di un favore personale, ma di una pretesa economica. Giannelli vuole i soldi delle truffe commesse a Cavalleggeri.
Tre giorni dopo, il 26 aprile, la tensione è già alle stelle. Esposito dice alla fidanzata che si trova a casa di alcuni “compagni”:«Stanno certi compagni miei… poi ti spiego… per mezzo di Alessandro».
È la sera in cui il problema esplode definitivamente. “Cinquanta mila euro o succede il finimondo”
Nell’abitazione della famiglia Esposito, in via Libero Grassi, Gennaro Esposito racconta tutto alla madre, Tiziana Vanacore. Il bersaglio è Mario Buongiorno, detto “’o pocho”. Giannelli ha mandato a chiamarlo. La richiesta è impressionante: 50.000 euro.
Sono soldi che, secondo Giannelli, Buongiorno deve per le truffe online sui conti correnti effettuate a Cavalleggeri. Non è una richiesta isolata. Gennaro spiega che tutti i truffatori devono pagare. Chi non accetta, fugge. È il caso di Totore Brandi, scappato in Spagna pur di sottrarsi alle pretese del boss.
Ma Buongiorno resta. E si oppone. «Devono fare una brutta morte queste persone di mezzo alla strada!», esplode Gennaro. «Sta tutto infuriato Alessandro… mamma mia». Il linguaggio è quello della minaccia mafiosa pura. Non ci sono mezze misure.
Il video su TikTok e la condanna
A scatenare la furia definitiva di Giannelli è un dettaglio apparentemente banale. Buongiorno pubblica un video su TikTok: si riprende ridendo, con 3.000 euro in mano. Ostentazione. Arroganza. Un errore fatale.
Il video arriva fino al carcere di Voghera. Giannelli lo vede. E fa i conti: non 3.000 euro, ma 47.000 euro da consegnare immediatamente.
È così che la camorra dimostra di controllare anche i social network, di osservare, di annotare, di pretendere.
La cassa del clan: i soldi sul conto del figlio
Un altro passaggio cruciale emerge dal racconto di Gennaro Esposito: 40.000 euro raccolti dai truffatori finiscono sul conto di Giuseppe Giannelli, figlio del boss. Il carcere non interrompe il flusso di denaro. Lo organizza.
È il pizzo digitale, gestito come una tassa: chi lavora paga. Chi non paga, rischia.
“’O Polacco” e il sistema delle doppie fedeltà
Nel dialogo emerge anche una figura emblematica: Salvatore Mentone Del Sole junior, detto “’o Polacco”. È uno dei truffatori più attivi e redditizi. È l’unico che non ha problemi: paga tutti. Licciardi e Mazzarella.
«Quello paga a noi e ai Mazzarella… paga a tutti questi qua».
È la fotografia di un sistema criminale integrato, dove le truffe online generano profitti tali da giustificare una doppia tassazione mafiosa.
Le mediazioni, le minacce, la paura di morire
Nei giorni successivi la pressione su Buongiorno diventa asfissiante. Esposito tenta una mediazione, promette di anticipare 1.500 euro, consiglia di buttare il telefono per non essere più rintracciato. Ma Giannelli non si accontenta.
Il 10 maggio 2022 le intercettazioni certificano un fatto gravissimo: Giannelli parla direttamente con Esposito dal carcere. Le telefonate sono continue, pressanti. Esposito dice che parlerà con Paolo Abbatielo, reggente del clan Licciardi. È il livello superiore che deve placare la furia del detenuto.
Il 27 maggio Esposito è furioso: «Non hai capito che sono andati a fare un giro giù dal compagno là?»- Buongiorno, disperato, cerca “aiuto esterno”. Ma Esposito lo ammonisce: «Dove vai vai, farai testa e muro». Ovunque si giri, il sistema è chiuso.
L’accordo: 2.000 euro per salvarsi
Il 30 maggio arriva l’accordo: 2.000 euro, da consegnare la settimana successiva. In cambio, la promessa di bloccare ritorsioni. La garanzia è Abbatielo. Se Giannelli non rispetta l’intesa, sarebbe una “scortesia” al clan. È Esposito stesso ad ammettere la sua appartenenza ai Licciardi.
Ma anche questo equilibrio è fragile. Il 3 giugno Esposito dice che non proteggerà più Buongiorno. La minaccia della morte torna concreta.
La “pace” a cento euro al mese
Dopo ulteriori mediazioni – entrano in scena Carella Luigi, Lonardo Catello, la Masseria Cardone – si arriva alla soluzione finale: cento euro al mese. Una tassa fissa. Il pizzo del phishing.
Anche mesi dopo, nell’ottobre 2022, la vicenda viene ricordata come un esempio: Buongiorno aveva cercato scampo altrove, senza sapere che anche lì il clan Licciardi aveva voce in capitolo.
Fonte REDAZIONE






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