San Giorgio a Cremano – Cala il sipario giudiziario sull’inchiesta che per anni ha scoperchiato uno spaccato di usura e traffici illeciti nel cuore di San Giorgio a Cremano. Il gip Lucia de Micco, del Tribunale di Napoli, al termine del giudizio abbreviato, ha condannato Mario Caruso, 56 anni, a 5 anni e 4 mesi di reclusione, e la madre, Anna Ottico, 80 anni, a 3 anni di carcere. Le accuse: usura, esercizio abusivo dell’attività finanziaria e impiego di denaro di provenienza illecita.
I due imputati, difesi dall’avvocato Francesco Annunziata, hanno già annunciato ricorso in appello per ottenere una riduzione delle pene. La sentenza arriva a distanza di otto anni dall’inizio delle indagini, scattate nel novembre 2017 dopo la denuncia di Vincenzo Troia, classe ’95, che dichiarò di essersi rivolto a Mario Caruso per un prestito e di essere poi stato minacciato dalla sorella di quest’ultimo, Maria. Quest’ultima, secondo il denunciante, avrebbe evocato apertamente la “gente di San Giovanni”, alludendo al clan Mazzarella, per intimidire il debitore.
Dalle intercettazioni telefoniche emerse anche un presunto giro di contrabbando di sigarette, che si sarebbe intrecciato con l’attività usuraia.Potrebbe interessarti
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Il pm aveva chiesto sei anni di reclusione per Maria Caruso, accusata di aver avuto un ruolo attivo nel circuito usuraio e di fungere da mediatrice all’interno di un’associazione criminale dedita al traffico illecito di tabacchi lavorati esteri. Il giudice, però, accogliendo le argomentazioni difensive dell’avvocato Immacolata Romano, l’ha assolta da tutti e sei i capi d’imputazione, escludendo ogni sua partecipazione ai fatti contestati.
Stessa sorte per Pietro Silvestrino, assistito dall’avvocato Giuseppe Milazzo, ritenuto dagli inquirenti il fornitore dei punti vendita al dettaglio del tabacco di contrabbando, e per il suo presunto corriere, Alessandro Di Napoli, difeso da Guglielmo Ventrone: entrambi assolti “perché il fatto non sussiste”.
Con questa sentenza si chiude, almeno in primo grado, una vicenda che aveva scosso la cittadina vesuviana, facendo emergere ancora una volta il legame tra microcriminalità economica e circuiti di illegalità organizzata. Ora la parola passa alla Corte d’Appello, dove i difensori si preparano a chiedere la revisione delle pene.

                                    



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