foto d'archivio
Un carosello di gioia, il quarto scudetto del Napoli da celebrare in una pizzeria di Verona, è diventato teatro di paura e violenza.
La sera del 23 maggio scorso una quarantina di tifosi partenopei, tra cui donne e bambini, si erano radunati nel parcheggio di un locale in zona Zai per condividere canti e bandiere. Poco prima della mezzanotte, la loro festa è stata interrotta dall’irruzione di una trentina di ultras dell’Hellas Verona, molti con i volti coperti, armati di bastoni e cinture.
Il blitz è durato meno di un minuto, ma le conseguenze sono state pesanti: cinque feriti, prognosi fino a tre settimane, auto danneggiate, una costola rotta a un cinquantenne residente a Verona da anni. Le urla dei presenti raccontano la furia di chi non voleva “bandiere azzurre in città”, un chiaro messaggio di esclusione e intimidazione.
Le indagini della Digos hanno portato a identificare 21 membri del gruppo Hellas Army, tutti tra i 19 e i 49 anni, quasi tutti già noti per episodi di violenza da stadio e sette già sottoposti a Daspo.
Le prove raccolte – dalle immagini di videosorveglianza ai cellulari sequestrati – hanno ricostruito l’organizzazione dell’assalto: un gruppo partito già dal pomeriggio con l’obiettivo dichiarato di impedire qualsiasi celebrazione napoletana, fino all’attacco al locale frequentato dai partenopei.
La Procura ha contestato lesioni aggravate, furto, danneggiamento, possesso di armi improprie e travisamento in luogo pubblico. Resta ora da capire come si muoveranno le autorità giudiziarie e se arriveranno misure più pesanti nei confronti degli ultras coinvolti, in una vicenda che solleva ancora una volta interrogativi sulla deriva violenta del tifo organizzato.